Il meccanismo messo in atto dalla riforma comporterà alcune “non conferme”, ma non tutte, e soprattutto richiede a breve di mettere a bando circa venti direzioni. Non si intravedono golpe o epurazioni, fatta salva l’autonomia di indirizzo del ministero della Cultura
Volendo far pratica di euristica, come direbbe il ministro Giuli che parla difficile, a proposito dei giornali e di come trattano di musei, bisogna innanzitutto retrodatare i fatti e spiegare che il peggior pasticcio del past minister Gennaro Sangiuliano non è stata l’epopea pompeiana, che pure gli è costata il posto, ma la riforma del ministero e dei musei di cui andava assai fiero, il dpcm di marzo 2024, “Modifiche al decreto ministeriale 23 dicembre 2014”, recante in titolo “Organizzazione e funzionamento dei musei statali”. Insomma la riforma della riforma Franceschini. Una riorganizzazione che creava nuovi musei autonomi di prima o seconda fascia, ma produceva anche accorpamenti e smembramenti di contraddittoria logica, col risultato che oggi molti “incarichi dirigenziali generali e non generali decadono” ed è competenza del ministro disporre per le nuove nomine dei direttori.
Sangiuliano accorpò ad esempio a Firenze Bargello e Gallerie dell’Accademia, senza particolare funzionalità se non sommare il totale di bigliettazione, nel frattempo veniva però scorporata la Pinacoteca di Ferrara dai Musei estensi, con logica inversa; Brera assorbe il Cenacolo sminuendo il ruolo della Direzione regionale dei musei, ma la Pinacoteca di Bologna viene ad accorpare l’intera direzione regionale, in un’ottica di potenziamento, come accade anche a Matera. Gli esempi sono molti. Accoppiamenti non propriamente giudiziosi, per dirla con Gadda, che danno ora l’agio, o il disagio – lo dovrà chiarire lui se vorrà farlo – al ministro della Cultura Alessandro Giuli di nominare tramite concorso (“internazionale”, basta con le fòle dell’italianità) molti nuovi direttori.
E siamo all’oggi. Al non rinnovo per il prossimo quadriennio alla Pinacoteca nazionale di Bologna di Maria Luisa Pacelli e al Museo nazionale romano di Stéphane Verger, nominati entrambi nel 2020. Idem per il Palazzo Reale di Napoli e i Musei nazionali di Matera. Con gran polemica divampata – e rinfocolata da un’intervista “politica” del direttore di Napoli, Mario Epifani – per il colpo di mano delle destre e la volontà (presunta) di cancellare ogni traccia dell’èra Franceschini. Servirebbe cautela. Quantomeno per Bologna e Matera, la tecnicalità di non poter confermare i direttori è un esito della riforma Sangiuliano, che ha cambiato denominazione anche giuridica agli istituti. E a questo si appella il ministero: sono atti dovuti e inevitabili, a meno di smontare la riforma, ma ne uscirebbe un disastro. Diverse altre situazioni. Il Museo nazionale romano è di gran lunga il luogo di maggior prestigio, e l’appassionato di archeologia Giuli ben lo sa.
La riforma Franceschini non lo contemplava tra i musei autonomi (2014), fu inserito nel 2016 tra i musei di rilevante interesse nazionale e solo nel 2024 nei musei con “autonomia speciale”. Lì, più che burocrazia, si legge in filigrana una scelta valutativa, ovviamente lecita (ad interim prima del concorso potrebbe arrivare l’ottima Edith Gabrielli, direttrice del Vittoriano). Il meccanismo messo in atto dalla riforma comporterà alcune “non conferme”, ma non tutte, e soprattutto richiede a breve di mettere a bando circa venti direzioni. Non si intravedono golpe o epurazioni, fatta salva l’autonomia di indirizzo del ministero. Giuli, che ha telefonato per assicurare stima a Maria Luisa Pacelli, che ha rilanciato la Pinacoteca di Bologna e sta per inaugurare una importante mostra da lei curata su Guido Reni, ha un modo per dimostrarlo: fare nomine giudiziose.