La maledizione e la solitudine di Israele

Come l’antisemitismo di cui è emanazione, l’avversione a Israele è una passione che nulla placa e tutto alimenta, scrive Pascal Bruckner

La sofferenza ebraica ha raggiunto Israele, che dovrebbe proteggere tutti i suoi cittadini da essa” scrive Pascal Bruckner sul Point. “Da terra di accoglienza e rifugio, ora è diventata terra di esilio e di pericolo, soggetta agli attacchi terroristici dei sostenitori dell’Iran e alla riprovazione delle élite del mondo occidentale. Lo stato protettivo e demiurgico è a sua volta un ghetto assediato. Israele è prima di tutto un territorio senza confini, che cambiano continuamente a causa dei conflitti tra i sostenitori di una pace giusta con i palestinesi e i militanti espansionisti che vogliono annettere la terra e scacciare gli occupanti arabi, in Giordania a est e in Egitto a sud. Stabilire un confine riconosciuto a livello internazionale sarebbe terapeutico per entrambi i popoli, ma per il momento rimane una chimera. L’aggressione di Hamas, lungi dal suscitare compassione per le vittime, ha decuplicato l’odio verso Israele di alcune élite nordamericane ed europee. Dopo Durban nel 2001, è stata il più massiccio coming-out antisemita degli ultimi anni, soprattutto nell’estrema sinistra. Molte femministe, così pignole sulle relazioni tra uomini e donne, non hanno battuto ciglio di fronte agli stupri e alle uccisioni commessi da Hamas: le vittime erano donne israeliane ‘bianche’, quindi esseri inferiori. Stupri di massa, sventramenti di donne incinte, smembramenti di giovani ragazze: cose di poco conto! E i dimostranti ebrei che hanno cercato di marciare insieme ad altri attivisti nelle manifestazioni per i diritti delle donne sono stati cacciati. ‘Sionismo, il Dna criminale dell’umanità’, hanno gridato per le strade di Parigi.

Per un terribile controsenso, i nemici di Israele non gridano il loro amore per la causa palestinese, ma il loro odio per gli ebrei. Questa rabbia esplode con intensità ogni dieci anni, una simbolica Notte dei cristalli che cova silenziosamente per il resto del tempo. Quando gli africani muoiono a centinaia di migliaia in Sudan o in Congo, quando gli arabi si uccidono a vicenda, come in Siria o nello Yemen, anch’essi a centinaia di migliaia, nessuno fa una piega. Quando gli israeliani si scontrano con i palestinesi e bombardano le popolazioni civili, si parla subito di ‘genocidio’: ricordiamo che la popolazione palestinese è triplicata in cinquant’anni (da 1.340.000 nel 1948 a quasi 5 milioni oggi). Come l’antisemitismo di cui è emanazione, l’avversione a Israele è una passione che nulla placa e tutto alimenta.

I più estremisti riabiliteranno Hitler, trasformando il sionismo in un duplicato del nazismo, mescolando nello stesso biasimo i discendenti delle vittime e i discendenti dei carnefici. Reversibilità immediata: se gli ebrei opprimono, inevitabilmente, è alla maniera del bruto biondo. Un tempo bersaglio del genocidio in Europa, gli ebrei in Israele, ogni volta che commettono crimini – e lo fanno, come tutti gli stati – non possono che perpetrare genocidi. Ebreizzare i palestinesi nazifica immediatamente gli israeliani e destituisce quegli ebrei che non si pentono pubblicamente di Israele, ‘entità usurpatrice’. In una certa mitologia progressista, il palestinese è il nostro ultimo buon selvaggio, innocente anche quando uccide e sgozza. E’ la grande icona cristologica il cui processo di beatificazione va avanti da cinquant’anni. Ma stiamo facendo un grande torto a questa causa sottomettendola all’islam radicale: anche se la condizione della popolazione civile di Gaza è atroce, anche se vogliamo una soluzione politica, il terrorismo islamista rischia di raffreddare la solidarietà per molto tempo. Sentire membri di Hamas, Hezbollah e i loro sostenitori gridare ‘Allahu akbar’ e proporsi di sradicare ebrei, cristiani e infedeli in tutto il mondo fa raggelare il sangue”.

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