Un’altra epurazione. Perché Milei ha allontanato la ministra degli Esteri

Il voto del rappresentante argentino all’Onu, il doppio nome Malvinas-Falkland e il ritardo sull’accordo tra il Mercosur e l’Unione europea. Tutti i motivi che hanno causato il licenziamento di Diana Mondino

Ministra degli Esteri, afuera! Il presidente argentino Milei ha deciso, probabilmente non proprio usando queste esatte parole, di sostituire la ministra degli Esteri Diana Mondino. Professoressa di Economia, mileiana della prima ora e senza esperienza diplomatica previa, era stata nominata ministra sin dall’insediamento del governo. E’ stata licenziata mercoledì a seguito di un voto del rappresentante argentino presso l’Onu a favore della risoluzione contro l’embargo economico imposto a Cuba dagli Stati Uniti. Un voto apparentemente innocuo che non avrebbe fatto notizia e dove i voti favorevoli sono stati 187. Gli unici a votare contro sono stati gli Stati Uniti e Israele. Ma per Milei il voto ha assunto un significato importante.

Innanzitutto perché, senza maggioranza parlamentaria, Milei sente di dover rilanciare costantemente il credo anticomunista anche in chiave interna. Durante gli anni dei Kirchner alla Casa Rosada l’Argentina era tra i principali alleati di Cuba. Votare contro il regime cubano significa anche fare politica interna. Secondo, perché Milei considera Stati Uniti e Israele come i principali alleati. L’Argentina, e quindi il proprio ministro degli Esteri, deve allinearsi alla loro politica estera. Ma, soprattutto, il presunto passo falso della diplomazia argentina rappresenta l’occasione perfetta per allontanare un ministro in difficoltà già da qualche settimana.

A inizio ottobre, in visita ufficiale in India, la ministra non aveva escluso la possibilità di entrare nei Brics nel caso in cui il gruppo riuscisse a creare un sistema alternativo al Swift. Le dichiarazioni avevano generato malumore nel governo perché, appena insediato, Milei aveva escluso questa possibilità. Qualche giorno dopo la ministra aveva incontrato una delegazione della Croce rossa internazionale e aveva stretto un accordo per identificare i resti dei militari argentini morti durante la guerra per le isole Falkland/Malvinas. Ma il comunicato ufficiale del governo, che riportava le foto della ministra, chiamava le isole proprio col doppio nome. Argentino e inglese. Un errore imperdonabile per un paese in cui la memoria di quella guerra è più viva che mai e il reclamo delle isole è uno dei pochi punti che unisce tutti gli argentini. Aver puntato il dito contro una presunta manina dietro il comunicato era servito solo a guadagnare tempo. La ministra paga anche il ritardo sull’accordo tra il Mercosur e l’Unione europea. E’ vero che l’attesa della firma si deve più ai ritardi europei mentre Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay firmerebbero subito. Ma la ministra annuncia da mesi una firma imminente che non arriva mai.

Milei, per carattere e non avendo nessun partito alle spalle, riesce a fidarsi solo di poche persone. In particolare di Santiago Caputo, assessore assunto dal governo con un contratto di consulenza, e la sorella Karina, segretaria della presidenza. Tra gli intoccabili ci sarebbero poi i due ex governatori della Banca centrale: Toto Caputo, attuale ministro dell’Economia, e Federico Sturzenegger, il ministro della Semplificazione e della trasformazione. Nessun altro può definirsi sicuro del proprio posto. Neanche Nicolás Posse, ex amico personale di Milei, allontanato dopo sei mesi di governo dal posto di capo gabinetto, un ruolo fondamentale che media tra l’impulsivo presidente e il parlamento in cui non ha la maggioranza. Ne sanno qualcosa anche i 33 mila dipendenti pubblici che non lavorano più per lo stato da quando Milei si è insediato. E, tra gli altri, anche Julio Garro, l’ex sottosegretario per lo Sport allontanato per aver chiesto a Messi di scusarsi per i cori razzisti di alcuni giocatori contro la Francia.


L’allontanamento della ministra si inserisce così in una serie di epurazioni attraverso cui Milei cerca di mantenersi al potere e rilanciare la propria popolarità. Ai funzionari non resta che allinearsi. Una lezione che dovrà imparare anche il nuovo ministro degli Esteri Gerardo Werthein, fino a qualche giorno fa ambasciatore negli Stati Uniti.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.