Il governo vuole lanciare una nuova società con le grandi aziende di stato, senza precludere l’ingresso ai privati. Entro novembre la legge delega
Il ritorno del nucleare (di terza e quarta generazione) passa da una legge delega che il governo vuole presentare al Parlamento entro novembre. Ma anche dalla creazione di una nuova società, per il momento interamente pubblica ma senza escludere i privati, che metterà insieme le migliori realtà di stato.
Da quanto risulta al Foglio c’è già il via libera di Enel, capofila del progetto, Ansaldo nucleare, Leonardo e Cassa depositi e prestiti. Le aziende sono state già tutte coinvolte e si sono viste “a pezzi”. Chi prova a legare tutto su mandato di Palazzo Chigi è Fabio Barchiesi, da settembre nuovo vicedirettore generale di Cdp, la cassaforte di questa ambiziosa operazione destinata, non domani, ma fra massimo dieci anni, a dare una scossa notevole alla strategia energetica italiana. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin di Forza Italia, seppure a fari spenti, sta spingendo su questo dossier. Innanzitutto ha inserito nel Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) uno scenario che prevede anche l’energia atomica nel mix energetico.
E poi ha dato l’incarico al costituzionalista Giovanni Guzzetta di definire il nuovo quadro giuridico-regolamentare per il nucleare: il nuovo iter autorizzativo è l’intelaiatura della legge delega che sarà discussa dai partiti, forte della spinta della maggioranza di centrodestra. Sull’argomento c’è il via libera cauto di Giorgia Meloni. La destra da cui proviene la premier, quella che ha fatto da incubatrice a Fratelli d’Italia, fa i conti con una posizione scettica, per usare un eufemismo, a proposito del ritorno al nucleare. Lo scorso aprile, però, la premier è stata abbastanza netta sulla strada da intraprendere. E nelle pieghe delle sue parole ha fatto capire che il progetto inizia a prendere consistenza. Meloni, intervenendo all’evento “La scienza al centro dello stato”, ha parlato di “una grande prospettiva, una grande visione, un grande sogno derivano dalla possibilità di produrre in un futuro non così lontano energia pulita e illimitata dal nucleare da fusione”. Come? “Grazie al know how, all’attività di ricerca e sviluppo, al nostro sistema produttivo”. Sembrerebbero enunciazioni di principio e rivolte a prospettive di lungo termine, se non fosse che nelle stanze che contano, quelle delle grandi aziende di stato, l’idea inizia a essere oggetto di riunioni riservate ai massimi livelli. I piani del ministero dell’Ambiente parlano di ritorno al nucleare di terza e quarta generazione e poi, più a lungo termine, quando la scienza avrà fatto i progressi che tutti immaginano, di utilizzo della tecnologia della fusione.
Lo spettro temporale è ampio, se non ci saranno intoppi a partire per esempio dal ricorso al referendum contro la legge delega, destinata ad avere il via libera dal Parlamento nel 2025. Nei discorsi che si rincorrono in questi giorni nei corridoi del ministero di Pichetto Fratin si affastellano numeri e considerazioni pratiche, più un discreto attivismo che segna un interesse ormai concreto. L’esponente di Forza Italia non punta sulla costruzione di centrali, bensì di piccoli moduli. Lontani dall’idea che portò al referendum alla fine degli Anni 80. “Quelle sono tecnologie superate sessanta anni fa”, ripete in tutte le occasioni il ministro.
L’idea è di partire dal Programma nazionale per il nucleare sostenibile che terrà conto degli esiti della Piattaforma, arrivata all’ultimo giro di boa i risultati della ricerca. Servono a individuare l’effettivo fabbisogno di energia a supporto dello sviluppo delle energie rinnovabili e ai fini della decarbonizzazione. Il punto non è rivedere la quantità di rinnovabili, ma rendersi conto che bisogna aumentare la produzione di energia, visto che la domanda al 2050 “è prevista raddoppiare, e averla con un prezzo inferiore per mantenere la competitività del nostro paese”. Nei piani del governo c’è l’intenzione di posizionare questi moduli nei pressi dei siti produttivi, scenario su cui spinge Confindustria spiegando però che non si troverebbero dentro le aziende. E poi c’è la suggestione delle grandi città, qualora ci fossero sindaci disponibili ad aprirsi a questa innovazione.
L’argomento, davanti al fronte del no già schierato di M5s e Avs e alla posizione non ancora chiara del Pd, fa breccia nel mondo del fu Terzo polo, terra di mezzo abitata da Italia Viva e Azione. Come dimostra l’iniziativa promossa da Carlo Calenda e presentata nei giorni scorsi alla Camera. Con numeri di tutto rispetto: 58 mila firme a favore del nucleare raccolte in una settimana, fra una platea costituita per i due terzi da under 33. Insomma, per la prima volta a favore del nucleare c’è anche un movimento d’opinione dal basso. Ciò su cui ragiona il governo è una strategia dello stato. Ecco perché l’Enel torna centrale, come capofila della newco, “visto che ha tutte le competenze per farlo”, ragionano a Palazzo Chigi. Dove si sta già valutando la possibilità di incentivi agli investimenti oppure di sconti sulle tariffe, sorvegliate da un’Authority.
Intanto ci sarà da capire l’effetto che produrrà in Parlamento la legge delega: un modo per stanare tutti i partiti su una posizione chiara e inequivocabile. Elly Schlein in diverse occasioni ha chiuso qualsiasi porta a questa eventualità bollandola come scelta “insostenibile”, senza entrare troppo nel merito. Chissà che alla fine non sfumi la sua idea.