Oltre 200 morti: un numero di vittime non accettabile per un paese sviluppato come la Spagna. Serve adattare città e campagne a eventuali nuovi limiti che la natura impone
Dana, acronimo divenuto tragicamente famoso negli ultimi giorni anche tra i non interessati alle sorti meteo-climatiche per la devastante alluvione che ha colpito la comunità valenciana in Spagna. Acronimo di Depresión aislada en niveles altos”, ossia depressione isolata in alta quota, volgarmente detta “gota fría”, “goccia fredda” nel nostro paese, è una bassa pressione caratteristica dei mesi di transizione stagionale nel bacino del Mediterraneo. Un fenomeno conosciuto e ben documentato, da sempre lo spauracchio di tutte le persone che vivono a ridosso del nostro mare. Non certo un fenomeno inedito, quindi.
Oggi però è diverso. Oggi non facciamo solo una stima dei danni, che pur essendo sempre un grave problema sono un problema a cui si può porre rimedio, ma contiamo, almeno fino a ieri, oltre 200 morti. Un numero di vittime non accettabile per un paese sviluppato, come lo è la Spagna, che deve essere da monito per i nostri politici. Un meccanismo di difesa che non ha funzionato, una allerta meteorologica minimizzata dai decisori, una allerta rossa emanata dall’Agenzia meteorologica spagnola quasi del tutto ignorata. E’ vero, a posteriori è sempre facile puntare il dito ma non si può ignorare il fatto che le previsioni erano chiare anche 24 ore prima dell’inizio delle precipitazioni. E anche successivamente, con l’onda di piena che avanzava verso le aree più affollate, migliaia di persone erano del tutto ignare di quanto stava accadendo a monte.
Questi forti temporali, infatti, hanno la caratteristica di essere insistenti sulla medesima area per molte ore. Se ci troviamo a valle possiamo anche non assistere a precipitazioni per tutto il giorno ma dover subire poi una piena devastante. Così è andata: nel centro di Valencia le piogge sono state quasi nulle nel corso della giornata, mentre a monte è sceso un quantitativo di pioggia immenso, con valori complessivi simili a quelli delle peggiori alluvioni lampo che colpiscono anche il nostro paese (un esempio l’alluvione delle Marche del 2022). Quasi 500 mm di pioggia nel punto maggiormente interessato, ossia quasi 500 litri per metro quadro caduti nell’arco di poche ore.
Una corretta gestione del territorio può aiutare a mitigarne gli effetti, ma non può annullarli: siamo di fronte a un valore ingestibile per qualunque reticolo idrografico, tanto più se la distanza tra la sorgente e la foce è ridotta a poche decine di chilometri come in questo caso. Corsi d’acqua a regime torrentizio con piene rapide e impetuose del tutto impossibili da controllare. La cementificazione a tratti selvaggia della seconda parte del secolo scorso non ha fatto altro che peggiorare la situazione, limitando la capacità di percolazione del territorio ed esponendo i cittadini a ulteriori rischi ritrovandosi con gli edifici costruiti alle volte addirittura all’interno di ex aree fluviali, in Spagna come in Italia. A livello climatico eventi simili, come detto, non sono una novità per la regione: nel 1982 con l’alluvione nota con il nome di “pantanada de Tous”, una “goccia fredda” scaricò un valore massimo totale stimato di 1100 mm in circa 24 ore nel bacino dello Jùcar con conseguenze devastanti. Oggi per via del riscaldamento globale, che ci “regala” un’atmosfera più calda, a parità di condizioni meteorologiche iniziali i fenomeni possono risultare ancora più intensi.
Non esiste e non esisterà mai una prevenzione totale dai danni di fronte a tali sistemi: sono parte del clima mediterraneo, bisogna esserne coscienti. Come bisogna essere coscienti del fatto che in un clima più caldo la disponibilità energetica sfruttabile dai fenomeni meteorologici risulta e risulterà anche in futuro potenzialmente superiore al passato. Fenomeni estremi che un tempo venivano visti dalla popolazione come una maledizione divina, una punizione del Signore per i nostri peccati terreni. Sono eventi che anche oggi come allora risultano fuori dal nostro controllo, che possiamo solo mitigare gestendo in maniera oculata il territorio, minimizzando il nostro impatto sul clima riducendo per quanto possibile le emissioni climalteranti, e adattando città, campagne e territorio in generale a eventuali nuovi limiti che la natura ci impone.
Il tutto deve passare attraverso una classe dirigente capace di prendere decisioni forti e rapide, che non deve nascondersi né dietro al cambiamento climatico come scusa per i fenomeni estremi che ci colpiscono e non permettono di organizzare una risposta, né dicendo che esso non esiste e che il territorio va bene così com’è. Perché nel 2024 con gli strumenti di prevenzione, protezione e allertamento disponibili, non possiamo essere qui a contare centinaia di morti subendo uno sciacallaggio mediatico che non aiuta nessuno e allontana i meno interessati da un argomento che invece interessa tutti prima o poi nel corso della vita. Questa volta è toccato alla Spagna, sperando che possa servire da monito per i nostri amministratori quando si presenterà la prossima potenziale criticità sul nostro paese. Perché non è una questione di se, ma di quando.
Daniele Vasilevski (tecnico ambientale)