Non solo il taglio al fondo. La paura dell’automotive è nei numeri della componentistica

A Torino gli impreditori del settore cercano soluzioni alla crisi. E chiedono al governo un tavolo a Palazzo Chigi: “La vera partita va giocata insieme in Europa”

“La scelta del governo rappresenta un nonsense politico: questo fondo e la sua dotazione erano stati disposti nel 2022 con il governo Draghi, quando l’attuale ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, era il titolare dello Sviluppo economico”, dice Marco Stella, presidente del gruppo componenti di Anfia. A Torino si presenta l’indagine annuale realizzata dall’Osservatorio sulla componentistica dell’associazione di categoria che riunisce le imprese del settore che due giorni fa sono rimaste spiazzate dalla scelta dell’esecutivo di tagliare dalla legge di Bilancio 4,6 miliardi del fondo Automotive. Ieri il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha convocato una nuova riunione del tavolo Stellantis per il prossimo 14 novembre. “Ci aspettiamo che riesca a trovare almeno una dotazione minima di 500 milioni per il prossimo anno”, dice Stella. “Sono risorse necessarie, siamo alla vigilia di una ristrutturazione che dobbiamo fare in modo sia il meno dolorosa possibile”, spiega l’impreditore che chiede anche al governo di “istituire una cabina di regia a Palazzo Chigi che coinvolga tutti i ministeri interessati”. E’ una richiesta condivisa anche da Corrado La Forgia, vicepresidente di Federmeccanica: “A me – spiega – non preoccupa tanto il taglio del fondo, ma il fatto che non abbiamo idea di dove volere andare. Bisogna decidere. Deve farlo non solo il governo, ma anche imprese e sindacati. La prima seria regola del management – scherza – la indica Totò: per andare dove vogliamo andare dove dobbiamo andare?”.


Ben 713 (il 34 per cento) delle 2.135 aziende italiane che producono componentistica per autovetture e veicoli commerciali e generando una percentuale analoga del fatturato del settore (20,4 miliardi su 58,8), si trovano in Piemonte, quasi tutte nell’area metropolitana di Torino. Negli anni del boom della produzione dell’intera filiera da questi parti vennero per lavorare operai da tutta Italia, trasformando la città, e portando la sua popolazione a crescere dai 720 mila abitanti di inizio anni 50 fino ai quasi 1,2 milioni di due decenni più tardi. Per Torino l’auto è molto di più di un mezzo di trasporto. E’ il simbolo della città, al pari della Mole Antonelliana o di piazza Castello. Solo da queste parti insomma poteva esserci un’intero museo dedicato all’automobile. E’ qui, a un passo dal Lingotto, dove fino al 1982 Fiat produceva la Topolino e la Lancia Delta, che tra i modelli d’epoca gli imprenditori della componentistica si sono dati appuntamento. Non solo per ascoltare sconsolati i numeri della loro preoccupazioni, ma anche, anzi soprattutto, per elaborare una strategia comune, per trovare delle soluzioni. Le lamentele sono ridotte all’osso perché, spiega con una metafora il vicepresidente della Camera di Commercio di Torino Nicola Scarlatelli: “Il panda è destinato all’estinzione perché senza bambù muore, ma noi siamo come l’orso marsicano che è carnivoro ma per sopravvivere mangia anche le bacche. In un raggio di 10 chilometri abbiamo una capacità manifatturiera unica al mondo, vogliamo perdere tutto questo per Stellantis?”. Tra i piccoli imprenditori che lo ascoltano il clima è quello di chi ha voglia di rimboccarsi le maniche: “Come imprenditore devo essere ottimista, e lo sono…”, dice uno di loro intervenendo alla fine della tavola rotonda. “Non c’è povertà senza difetto”, dice, un altro con una metafora che farebbe accapponare la pelle ai fautori del reddito di cittadinanza.


I numeri dell’indagine però non sono affatto consolanti. Le aziende prevedono gravi cali su fatturato, ordinativi, occupazione e investimenti. In Piemonte la vicenda è acuita dalla maggiore dipendenza da Stellantis. Ben il 42,3 per cento delle aziende (in Italia il dato è del 35,3) dipende per oltre il 50 per cento del proprio giro d’affari dall’ex Fiat. Inevitabile insomma che la contrazione prevista della produzione Stellantis faccia tremare tutta la filiera. Si capisce subito che la questione travalica la disputa sulla legge di bilancio. La vera richiesta al governo è quella di continuare a fare squadra in Europa con due obiettivi. Il primo sono i soldi. “Fare la transizione tecnologica rimanendo competitivi senza risorse europee è infattibile, è un argomento al centro del rapporto di Draghi sulla competitività dell’industria europea, non sono i nostri interessi di bottega”, dice Stella. “L’Europa ha scelto una direzione e allora si deve far carico delle persone in cassa integrazione perché la transizione non è gratis”, gli fa eco La Forgia. La seconda richiesta, e non è una novità, è quella della neutralità tecnologica, in particolare sui biocarburanti. “Non si può andare in maniera masochistica verso la tecnologia, l’elettrico, in cui abbiamo le peggiori performance competitive”.



La Cina incombe ma non solo come una preoccupazione. “Alla fine i cinesi dovranno venire qui a produrre, non possono portare le auto già fatte sulle navi, e allora noi ci dobbiamo far trovare pronti”, spiega La Forgia. “Dobbiamo andare lì per farli venire qui e non in Ungheria, tutto il resto è un lamento inutile”. Anche con l’arrivo di eventuali nuovo produttori però la richiesta è quella di interventi normativi che garantiscano le aziende italiane: “Negli Usa oltre agli aiuti si stato all’industria hanno preteso che chi viene a produrre dal Messico o dal Canada deve avere un 65 per cento di contenuto locale. Anche noi dobbiamo mettere qualcosa che tuteli la nostra manifattura”.

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