L’iperinflazione verbale per cui Hitler diventa un paragone buono per tutti

“Il tribunale di Bologna: sicura anche la Germania nazista?”; “Trump: ‘Non sono nazista’”; “Melania Trump: ‘Mio marito non è Hitler’”. Il problema di questa sbornia è che quando arriverà il peggio, non sapremo come chiamarlo

Già ho i miei problemi con l’ora legale (i miei orologi di casa segnano al momento due orari diversi, che diventano molti di più se includo quelli rotti o scarichi); di grazia, non incasinatemi anche il calendario. Siamo nel ’24 o nel ’42? Non lo so più. Elenco alla rinfusa un po’ di titoli in cui mi sono imbattuto sfogliando i giornali di ieri: “Il tribunale di Bologna: sicura anche la Germania nazista?”; “Un altro ‘no’ degli intellettuali al genocidio a Gaza”; “Trump: ‘Non sono nazista’”; “Melania Trump: ‘Mio marito non è Hitler’”; “Indiana Jones continuerà a combattere i nazisti” (quest’ultimo ovviamente è l’unico che ho preso sul serio). Conosco le spiegazioni che vanno per la maggiore: la famigerata reductio ad Hitlerum, la legge di Godwin (se una discussione online va avanti abbastanza a lungo, prima o poi qualcuno paragonerà qualcuno o qualcosa a Hitler), l’ignoranza diffusa che riduce tutta la storia mondiale a un unico esempio passe-partout. E sia. Ma a me non interessa capire da dove viene questo riflesso condizionato, mi interessa semmai capire dove è diretto. Perché le sbornie del linguaggio hanno un prezzo, e le iperboli stanno al valore delle parole più o meno come l’inflazione sta alla moneta. E se la grande inflazione di Weimar giocò la sua parte nell’avvento del nazismo – quello vero, non quello dei nostri titoli – l’iperinflazione verbale rischia di spianare la strada a qualcosa per cui non sapremo trovare un nome, avendoli svalutati tutti, e un carretto pieno di dizionari non servirà a comprare neppure un grammo di verità.

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