La faccenda della sicurezza digitale, così centrale dopo lo scandalo spionaggio, è la metafora di un paese in cui nessuno in realtà va in pensione ma viene sistematicamente recuperato (verrebbe da dire riciclato) per fargli fare un lavoro che non sa fare e probabilmente non dovrebbe fare
Hanno preso un prefetto in pensione, un bravo nonno di sessantotto anni di nome Bruno Frattasi, uno che non distingue il tasto sinistro del mouse da quello destro, e che hanno fatto? Beh, lo hanno messo a capo dell’agenzia pomposamente chiamata “per la cybersicurezza nazionale”, quella che, come racconta Carmelo Caruso è già piena di parenti e amici di altri prefetti e superpoliziotti in pensione, e che, niente meno, dovrebbe occuparsi – state bene a sentire – “delle attività di prevenzione, monitoraggio, analisi e risposta agli eventi di natura cibernetica”. Ovvero dovrebbe proteggere l’Italia dagli attacchi informatici, dalle intromissioni nei database, dallo spionaggio… E poi uno si stupisce di scoprire, come racconta Ermes Antonucci sempre su queste pagine, che le forze dell’ordine non controllano gli accessi ai loro archivi informatici e hanno un atteggiamento per così dire “antiquato” nei confronti della modernità e dei rischi digitali. Leggete Antonucci perché c’è da restare allibiti.
Ecco. Riteniamo che questa faccenda della cybersicurezza, così centrale oggi dopo lo scandalo di spionaggio rivelato dalla procura di Milano, sia una specie di metafora di un paese, il nostro, in cui nessuno in realtà va in pensione ma viene sistematicamente recuperato (verrebbe da dire riciclato) per fargli fare un lavoro che non sa fare e probabilmente non dovrebbe fare. Tutto pur di non consegnarsi e rassegnarsi al meritato riposo.
Un po’ come quando Giuliano Amato, ottantasei anni, eternità di foresta del potere italiano, venne incredibilmente nominato alla guida della “commissione algoritmi”, l’ente incaricato dal governo di studiare una delle cose più moderne e importanti che sta investendo la società contemporanea, ovvero le implicazioni dell’intelligenza artificiale. In America sono hacker e ingegneri di vent’anni. Da noi sono pensionati tra i settanta e gli ottanta.
L’Italia è piena di generali della Guardia di Finanza a riposo, super carabinieri in quiescienza, prefetti in pensione, grand commis dell’état ultraottantenni ai quali il potere politico sembra essere costretto a dover trovare un parcheggio digitale o una presidenza o vicepresidenza in qualche partecipata dello stato. Per forza. Basta d’altro canto scorrere l’organigramma di Leonardo o di Eni, per dirne due, per rendersi conto della quantità di superpensionati piazzati in ruoli importantissimi. Il presidente dell’Eni è l’ex comandante generale della Guardia di Finanza. Anche lui, manco a dirlo, in pensione.
Ora, questo fenomeno il più delle volte non ha effetti gravi (se non patetici). Ma diventa a nostro avviso pericoloso quando per salvare qualcuno dalla pensione lo si manda a gestire delle cose che invece sono operative e sarebbero importanti come l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza o i servizi segreti.