Il centrocampista dell’Inter ha compreso il suo ruolo, è diventato il miglior subentrato protagonista, uno dei pochi a essere capaci di applicare la regola leninista del meglio meno ma meglio
Il calcio, almeno formalmente, non è cambiato: si gioca in undici contro undici per novanta minuti ai quali ne vanno aggiunti un po’ di manciate di recupero. Per oltre un secolo i migliori scendevano in campo dall’inizio e giocavano il più possibile, gli altri, dall’introduzione delle sostituzioni, si sedevano in panchina con la speranza di entrare. Le sostituzioni da una divennero tre, e cambiò poco o nulla, e poi cinque. E cambiò forse non tutto, ma un bel po’ sì. Soprattutto in chi è riuscito a interpretare questo cambiamento e l’evoluzione del concetto di titolari e sostituti. Più possibilità di cambiare interpreti, più spazio a chi sino a quel momento ne poteva avere poco e di conseguenza più uomini. A cambiare però è stato soprattutto il peso e il ruolo dei panchinari. E così quello che un tempo sembrava un’idiozia, ossia tenere uno bravo fuori dall’inizio, si è rivelato una potenzialità e un valore aggiunto, sia per i titolari, che soprattutto per i panchinari. Basta avere la capacità mentale di comprendere cosa è cambiato.
Chi l’ha capito bene, forse meglio di tutti, è Davide Frattesi.
Il centrocampista era arrivato all’Inter dal Sassuolo il 6 luglio del 2023 per una trentina di milioni di euro. Soldi che in Italia, visti i portafogli poco pieni dei club, vengono scuciti soltanto per i giocatori considerati fondamentali, i titolarissimi. Davide Frattesi non lo è mai stato sino al momento: sei volte dal primo minuto nella passata stagione, quattro volte in questa nelle prime dieci partite di campionato. O almeno in apparenza. Perché la realtà è diversa. In una stagione e spicci all’Inter Davide Frattesi ha giocato sempre, salvo in rarissime occasioni, e sempre è stato messo in campo dove e quando più serviva, quasi come fosse il jolly buono per chiudere una mano di Scala 40. Simone Inzaghi gli ha dato sempre i minuti giusti per permettergli di rendere al meglio, ha sfruttato le sue qualità non sommando i minuti, ma facendo in modo che fossero quelli buoni. Un concentrato di calciatore.
Davide Frattesi qualche volta ha sbuffato, a volte aveva negli occhi la rabbia e la frustrazione di chi si sente al gabbio, poi ha capito. Ha compreso che l’allenatore se non ragione quanto meno non aveva torto, che con cinque sostituzioni, lo spazio si era moltiplicato e le possibilità di giocare erano in ogni caso elevate. Tante quante le domande tutte uguali che gli provavano a far uscire parole di astio. Parole che non sono mai state pronunciate.
Al termine di Empoli-Inter 0-3, partita nella quale ha giocato dal primo all’ultimo minuto segnando due gol, ha detto: “Io un problema? Non lo sono mai stato e mai lo sarò. Sono un ragazzo intelligente, so che siamo in sei a centrocampo, quindi so come funziona”.
Un’intelligenza situazionale, la stessa che utilizza in campo. Davide Frattesi sul terreno di gioco sa dove stare e cosa è meglio fare: osserva l’insieme, capisce come si evolverà il gioco, riempie gli spazi. A volte sembra ubiquo, è solo efficiente: in lui lo spreco tende allo zero. E quando questa efficienza si concentra in una mezz’ora anziché in un’ora e mezza può diventare debordante.
Davide Frattesi ha compreso il suo ruolo, è diventato il miglior subentrato protagonista, uno dei pochi a essere capaci di applicare la regola leninista del meglio meno ma meglio. Davide Frattesi è un’evoluzione riuscita, un sesto uomo baskettaro, diventato calcisticamente dodicesimo, ma dodicesimo reale e non figurato.
Anche quest’anno c’è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all’aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.