Perché la caccia a Stellantis non risolverà i problemi dell’automotive in Italia

La questione dell’auto e della componentistica italiana è molto più ampia e complicata: riguarda anche le scelte europee e un’idea di futuro che per adesso sembra mancare. La politica è chiamata a una riflessione seria, al di là degli slogan

Sarebbe meglio piantarla, di ridurre la questione italiana dell’auto e della componentistica automotive alla frusta polemica “Stellantis al rogo”. Quando la Fiat di cui molti sembrano nostalgici saltava interi cicli di investimento e cedeva ai concorrenti tecnologie avanzate, eravamo in quattro sfigati a sfidare il massiccio consenso politico-mediatico riservato all’azienda, a cui per decenni è stata la politica a regalare il monopolio di produzione in Italia. Poi partì il coro a difesa di Torino contro le banche che potevano impadronirsi della Fiat, e dopo si levò il mantra “prendendo la Chrysler la Fiat si allontana dalla sua missione”. Idem è accaduto con Peugeot e la nascita di Stellantis. Ciascuno di questi passi è stato quasi un miracolo, rispetto a com’era ridotta la Fiat quando arrivò Marchionne. Eppure passano i decenni, ma politici, sindacalisti e media italiani continuano a credere che debba essere Stellantis, a risolvere il problema dell’auto italiana.

Così, dopo l’orrore di decenni di protezionismo uni-brand, la politica italiana ha pure ceduto all’errore di offrire (fu il governo Conte2) 6,3 miliardi di garanzia pubblica a Torino come fosse una specie di ipoteca, che l’azienda avrebbe ripagato rimanendo solo concentrata sull’Italia. Ma se entri (per fortuna) in un gruppo multinazionale, la logica sarà quella della multinazionale, ergo tu politico sei uno sprovveduto se poi urli perché Stellantis produce in Serbia e Polonia e non in Italia dove è maggiore il costo e più bassa la produttività.

Fatte queste premesse veniamo all’ultima patata bollente, il definanziamento di 4,5 miliardi del Fondo Pluriennale Automotive passati invece al sostegno di progetti industriali per la Difesa: in questo modo degli 8,7 miliardi stanziati per l’auto dal governo Draghi, e di cui erano giù stati utilizzati 3 miliardi, resta solo poco più di un miliardo. Ovviamente, pesano le risorse scarse e la priorità strategica di rinforzare la difesa europea e le rilevanti eccellenze industriali italiane in materia. Ma la politica è ora chiamata a una riflessione seria su tutte le filiere che in Italia concorrono alla produzione di veicoli. Oggi l’Anfia aggiornerà a Torino i numeri della componentistica automotive, ma basta guardare il focus sull’automotive nel recente report autunnale del Centro Studi Confindustria, per capire che la questione è molto più ampia dei residui stabilimenti Stellantis in Italia. Nei primi 8 mesi del 2024, la produzione di autoveicoli in Italia è scesa del -34,7%, quella della componentistica del 21,7%. Pesa moltissimo la crisi dei giganti dell’auto tedeschi, alle prese con l’oneroso fallimento della loro scommessa cinese. Ma i cali italiani sono da brivido. Perché, se pensiamo all’indotto in senso più ampio – lavorazioni in metallo, vetro, gomma-plastica, vernici, componenti meccaniche ed elettroniche, pneumatici, concessionari di vendita e officine riparazioni – la stima totale è di ben 270 mila occupati. Dunque per decidere che uso fare delle risorse per auto e filiere di fornitura, bisogna avere le idee chiare.

Primo: valgono ancora davvero il bando al motore endotermico posto al 2035 e le multe ai produttori europei che cominciano a scattare dal 2025 se non vendono abbastanza auto elettriche? Chi scrive le considera eresie, ma se quelle pietre angolari restano allora a maggior ragione servono misure per una conversione alla sola componentistica elettrica e di apparati per e-car della parte alta della filiera italiana, affiancate da un enorme piano di politiche attive del lavoro per il riaddestramento ad altre qualifiche di occupati che si troveranno per strada. Secondo: se invece si riesce a rendere più diluita e realistica la transizione dell’auto verso la neutralità carbonica, allora ancor più non ha alcun senso dissipare risorse pubbliche nell’incentivo all’acquisto di auto, bisogna concentrare il sostegno all’investimento in tecnologie avanzate nelle imprese. Al 2023, sul totale del parco circolante in Italia, i veicoli “puro elettrico” erano solo lo 0,5%, quelli “elettrico-ibrido” solo il 4,5%. Quel che i rinnovabilisti non capiscono, continuando a chiedere miliardi di incentivi pubblici all’acquisto, è che non risolverebbero affatto il ritardo dell’industria europea, renderebbero solo colossale il regalo ai cinesi aprendo falle sempre maggiori nella finanza pubblica. Dopodiché, governo e Anfia devono lavorare insieme anche per una “cernita alta” dell’automotive italiano, quello meglio patrimonializzato e più dedito all’innovazione tecnologica: il sostegno a queste imprese passa più dai fondi Ipcei per microelettronica e idrogeno, che per il Fondo Nazionale Automotive su cui tutti oggi piangono.

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