Tre tappe tra i Pirenei, due tra le Alpi e con in mezzo il Mont Ventoux. Il via il 5 luglio da Lille, la conclusione il 27 luglio a Parigi. In mezzo tanta salita ma non troppa e qualche tappa buona per i briganti
Ogni anno, il giorno della presentazione del Tour de France, non si sa se prevale la curiosità di scoprire cosa ci riserverà il prossimo luglio o l’impazienza di vedere i corridori animare quel filo giallo che va su e giù e segna in scala chilometri e altitudini. Un filo che è più di un’unione di cordinate geografiche e altimetriche, è un sussurro leggero e confuso, ma facilmente comprensibile da chi ha quel minimo di conoscenza e di fantasia per poter immaginare scenari futuri plausibili. E quelli che a ogni presentazione del Tour de France ci vengono in mente sono spesso, sempre, di eccellente qualità. Sarà che in Francia i migliori corridori al mondo non mancano mai, sarà che siamo abituati bene, sarà, forse, che gli organizzatori si sforzano ogni anno di immaginare qualcosa di nuovo per evitare di riproporre qualcosa di già visto. E poco importa se il ciclismo è un continuo mescolio di cose già viste: è proprio questo che continua ad affascinarci.
Nei 249 giorni che separano la presentazione all’avvio da Lille del Tour de France 2025 ci sarà tempo per studiare i dettagli, inserire nel calendario le date nelle quali avremo il pomeriggio pieno e, magari, pianificare escursioni transalpine su strade montane, visto che molti hanno ancora in mente l’effetto che ha fatto vedere il Tour passare per le strade italiane. Quel che però appare chiaro a prima vista del percorso che attenderà i corridori tra il 5 e il 27 luglio, tra Lille e Parigi, è che il Tour de France ha deciso di non strafare, di essere corsa dura ma non folle, di dare a tutti la possibilità di trovare un loro posto alla Grande Boucle e quindi nel mondo. Nessuna abbuffata di salite e arrivi in salita tipo Vuelta, pochi tempi morti, nessun rush finale altimetrico tipo Giro d’Italia. Il Tour de France 2025 è duro, sobrio, signorile.
Un Tour de France un po’ più pirenaico che alpino, ma fa poca differenza in fondo, ogni catena montuosa ha i suoi grandi estimatori ma nessun detrattore.
La dodicesima tappa unirà Auch a Hautacam passando per il Col du Soulor (11,9 chilometri al 7,3 per cento), il Col des Bordères (3,1 chilometri al 7,3 per cento) prima dell’arrivo in salita.
La tredicesima è la cronoscalata di 11 chilometri da Loudenvielle a Peyragudes (8 chilometri al 7,9 per cento). La quattordicesim sarò la Pau-Luchon-Superbagnères, 183 chilometri e, prima dell’arrivo in salita (12,4 chilometri al 7,5 per cento), che manca al Tour dal 1989, i corridori dovranno salire tanto del meglio dei Pirenei: il Col du Tourmalet (19 chilometri al 7,4 per cento), il Col d’Aspin (5 chilometri al 7,6) , il Col de Peyresourde (7,1 chilometri al 7,8).
Prima ci sono un bel po’ di tappe complicate tra Normandia e Bretagna, piene di strappi e con la possibilità che il vento scompagini piani e strategie. C’è una cronometro di 33 chilometri buona per vedere un po’ di distacchi. E soprattutto una tappa, la decima che potrebbe essere terreno d’elezione per i briganti del pedale, sempre che Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel e compagnia non decidano di testarsi gambe e tenuta mentale.
Dopo ci sarà un Mont Ventoux da scalare per ingannare l’attesa alla due giorni alpina che trasformerà in certezze tutto quello che la strada ha detto nei giorni precedenti. Due tappe simili: corte, la 19esima è di 130 chilometri, con una salita dietro l’altra e l’arrivo all’insù.
Dopo la sbandata olimpica che ha fatto chiudere il Tour de France a Nizza, il gran finale tornerà a Parigi, lì dove era sempre stato, lì dove probabilmente sempre sarà.