Gestito dall’Agcom, il sistema è poco efficace e ha pesanti effetti collaterali. Il modello alternativo di Spotify
Alla fine è successo: la piattaforma di Piracy Shield gestita dall’Agcom, come molti avevano detto e previsto, ha fatto l’errore grosso e, durante la partita Lazio-Juventus di sabato 19 ottobre, ha spento una Cdn (Content delivery network, una rete per la distribuzione dei contenuti) di Google nell’area di Milano dove passa il 70 per cento del suo traffico e per ore Google Drive è stato bloccato e con esso decine di istituzioni, università e aziende che si appoggiano al servizio. Solo dopo sei ore Google Drive è ritornato parzialmente attivo e ancora la mattina dopo molti siti non erano operativi. Se fosse successo in un giorno feriale sarebbe stato un vero disastro con un costo per la società italiana che si sarebbe misurato con molti zeri. E se fosse stato bloccato il sito di un ospedale i danni avrebbero potuto essere più gravi. Un altro grosso errore era già successo a marzo. La prima domanda per mettere in relazione costi e benefici è dunque: quanti nuovi abbonamenti hanno guadagnato Dazn e la Lega Calcio che sono i mandanti dell’operazione?
Discussioni e controversie sulla pirateria e l’uso non autorizzato dei contenuti esistono sin dall’inizio di internet e generalmente l’approccio è stato quello di individuare e perseguire i pirati professionali, sebbene i risultati maggiori si siano sempre ottenuti innovando i modelli di business come è avvenuto nella musica con la nascita di Spotify che ha drasticamente ridotto la pirateria e nel giro di una decina d’anni ha fatto recuperare tutti i ricavi alle case discografiche, ma recentemente è emersa a livello europeo la possibilità di bloccare direttamente i siti internet che diffondono i flussi informativi, anche se si tratta di un’opzione che vede contrari gran parte dei tecnici informatici visto l’intrecciarsi degli indirizzi e dei siti nella rete.
Il sistema antipirateria italiano nasce nel 2023 per proteggere eventi dal vivo, programmi televisivi e altri contenuti, come le rassegne stampa, prevedendo, con semplice segnalazione del titolare dei diritti, lo spegnimento diretto dei siti entro 30 minuti, in modo automatico, quindi senza nessun controllo e verifica. Poi un emendamento di maggioranza nel decreto Omnibus in ottobre 2024 ha ulteriormente peggiorato la situazione prevedendo che per bloccare un sito non serve che sia dedicato alla pirateria, ma è sufficiente un supposto uso prevalente; che il ripristino del sito può avvenire rapidamente solo per i soggetti di interesse pubblico, quindi non per aziende e cittadini; e infine introducendo l’obbligo per gli Isp che siano a conoscenza di contenuti illegali di segnalarli ad Agcom con un reato collegato che prevede fino a un anno di reclusione. Google ha fatto notare che esistono 11 miliardi di pagine al mondo con contenuti potenzialmente non autorizzati e che se tutti fossero segnalati l’applicazione non riuscirebbe a gestirli. Intanto la Lega Calcio ha inviato a Google una diffida per la scarsa diligenza nell’applicazione delle norme del Piracy Shield che prelude probabilmente a una richiesta di danni.
Il sistema è palesemente progettato e costruito senza aver in mente come funziona internet e quale sia la sua architettura fatta da una sovrapposizione di reti di computer e linee dati dove sono comuni gli indirizzi Ip condivisi, dove è molto complesso isolare l’attività di uno specifico sito e dove non basta eliminare un blocco perché la situazione ritorni immediatamente alla normalità qualora si commetta un errore.
Infine lo strumento del Piracy Shield così concepito appare abbastanza inefficace perché per i malintenzionati è facile cambiare rapidamente il collegamento e al limite utilizzare delle Vpn che rendono problematico lo spegnimento. Quindi costi alti, molti effetti collaterali, errori facili e frequenti ed effetto deterrente ridotto.
Si tratta di un cannone utilizzato per cacciare zanzare, che sicuramente uccide alcune zanzare ma ha una valanga di effetti collaterali negativi e costosi. Una misura poco proporzionale che sposta tutto il peso dell’intervento sulla repressione a carico dello stato e trascura gli investimenti che potrebbero fare i titolari in fase di trasmissione adottando sistemi di criptaggio più aggiornati e sistemi di marcatura che consentano di riconoscere il segnale nelle eventuali ritrasmissioni. Inoltre la trasparenza è bassa, perché non sono previste procedure chiare di ripristino e il nome dei segnalatori non è conosciuto. Nell’insieme l’ordine di grandezza dei danni da errori appare nettamente superiore non solo alla pirateria eliminata, ma al giro d’affari collegato ai diritti sportivi. Nei giorni scorsi Agcom, al centro della polemica e forse timorosa per i danni causati, ha diffidato Dazn dall’effettuare segnalazioni sbagliate, rivelando così l’identità altrimenti segreta del segnalatore.
Nell’insieme un sistema dove si perde completamente la proporzionalità tra costi imposti alla collettività, errori possibili e risultati ottenuti da chi è protetto. Un errore che i titolari dei diritti fanno spesso è di calcolare i presunti danni prendendo le stime dei consumatori non autorizzati a basso costo e moltiplicandoli per il prezzo di listino ufficiale. Ma come sanno gli studenti del corso base-base di economia, la curva di domanda è inclinata negativamente e più sale il prezzo più diminuiscono le quantità. In più il monopolista, come in questo caso, per applicare i prezzi elevati di monopolio deve ridurre le quantità offerte. Solo una parte dei consumatori, cui viene impedito di consumare a basso prezzo, comprerà a prezzo pieno. Il che naturalmente non significa giustificare la pirateria che va combattuta, duramente, ma con le armi giuste e soprattutto con armi che funzionano.
Tutta questa vicenda appare come un gigantesco caso di cattura del regolatore attuato da una lobby rumorosa e insistente, cattura che è iniziata con una conquista culturale per cui è normale sentire regolatori e politici parlare di consumi non autorizzati di contenuti protetti come di furto, rapina, criminalità organizzata, mafia. Occorre ricordare che da un punto di vista economico i diritti di proprietà intellettuale (copyright e brevetti) costituiscono una soluzione di second best. La società decide di conferire al titolare dei diritti un monopolio temporaneo per offrire un incentivo che compensi l’impegno nella ricerca o nella creazione dei contenuti. Normalmente quel monopolio sarebbe combattuto e in molti paesi sarebbe un reato. Si tratta appunto di una soluzione istituzionale di compromesso.
Nel 2023 la legge antipirateria è stata approvata senza nessun voto contrario, senza audizioni di esperti (che pure indicavano già allora i pericoli), senza una vera discussione. Poi nel weekend era divertente vedere alcuni che avevano votato a favore postare tweet di preoccupazione e intenzioni di cambiarlo. Purtroppo l’abitudine dei nostri politici di non considerare i costi e gli effetti secondari delle norme che approvano è un fenomeno persistente.
La piattaforma tecnologica che fa funzionare il Piracy Shield è stata costruita da una piccola società collegata allo Studio Previti e donata, con un’operazione che non brilla per terzietà del regolatore, ad Agcom che intanto ha dovuto stendere il regolamento per tradurre in elementi concreti quel “prevalente” introdotto dal decreto Omnibus e che forse avrebbe dovuto prestare più attenzione agli allarmi di numerosi esperti sui quasi certi malfunzionamenti. Anche in questo caso una sequenza ultradecennale di nomine basate solo sull’appartenenza politica non ha contribuito alla qualificazione di Agcom che negli anni si è vista aumentare le competenze, ma non la competenza.