Su cosa va bocciato il tribalismo monarchico del governo Meloni

L’esecutivo ha agito bene in politica estera e disciplina di bilancio, sugli altri temi però sembra dominare un immenso caos. Il problema è che si occupa solo della cronaca senza progettare il futuro.

Politica estera e disciplina di bilancio sono i due punti sui quali Meloni ha agito bene, in linea con ciò che Azione ha sempre ritenuto giusto e in completo contrasto con ciò che Meloni ha sempre sostenuto prima di andare al governo. Non è un cambiamento da poco e, seguendo la linea di opposizione costruttiva sempre adottata dal nostro partito in questi due anni di legislatura, siamo disponibili a riconoscerlo senza alcun problema. Certo, sull’Ucraina avremmo voluto che il governo si schierasse con i paesi che consentono l’uso delle proprie armi per colpire le basi in territorio russo da cui partono gli attacchi verso Kyiv e in Europa abbiamo auspicato un voto favorevole alla Commissione europea, ma ci rendiamo conto che sarebbe stato troppo chiedere vista la composizione della coalizione di governo.

Politica estera e bilancio non sono cose da poco, ma sono quasi le uniche su cui si può esprimere un giudizio positivo relativamente all’operato del governo. Per il resto sembra dominare un immenso caos. La cosa più sconcertante è che non abbiamo veramente idea di quale sia la visione della Meloni sulla maggior parte delle questioni chiave da cui dipende la crescita del paese. Su scuola, università, ricerca, industria, energia, cultura, salari, clima, digitale, demografia, sanità le idee sono assenti e i provvedimenti inconsistenti o contraddittori. E’ questo il caso della giustizia dove la linea garantista di alcune riforme di Nordio, peraltro votate da Azione, è smentita dall’introduzione di quarantotto nuovi reati spesso inutili e fantasiosi. La verità è che il governo non esiste, esiste solo Giorgia Meloni. I dossier vengono gestiti esclusivamente quando vengono portati alla sua attenzione. Per il resto ministri, spesso inadeguati, sembrano soprattutto cercare di rimanere “sotto i radar”, timorosi di compiere errori e strafalcioni comunicativi.

Questo meccanismo “monarchico” ha una conseguenza inevitabile: ci si occupa solo delle emergenze e della cronaca. Questa è la trappola in cui cadono tutti i governi personali. In questo caso però c’è l’aggravante del “tribalismo” con nomine che vengono fatte solo per appartenenza alla tribù originaria della destra postfascista e la difesa a oltranza degli appartenenti alla “compagnia dell’anello”. Non c’è alcuna volontà egemonica – che implicherebbe un necessario allargamento del cerchio magico e una cooptazione di classe dirigente – ma solo un’irresistibile pulsione identitaria.

Nel corso di questi due anni mi è capitato tante volte di fare proposte per migliorare l’operatività dei provvedimenti del governo direttamente a Giorgia Meloni. Proposte sulla crisi del settore Automotive, su transizione 5.0 (che si sta rivelando un disastro), sulle crisi aziendali, sul nucleare, sui costi dell’energia per le imprese, sulla sanità, sul lavoro, sul necessario accordo da fare per nominare i componenti della Corte costituzionale. Non è mai accaduto che queste proposte siano state considerate e tanto meno accolte. I rapporti personali sono cordiali e quelli politici improntati a un’opposizione corretta e costruttiva, che arriva fino a votare i provvedimenti che si ritengono giusti per il paese, ma alla fine tutto cade nel nulla.

La mia impressione è che senza una “fase due” l’esecutivo Meloni sia destinato ad avvitarsi su se stesso tra polemiche inutili e un generale inasprimento dei toni. Occorrerebbe cambiare la squadra, assumere una postura istituzionale – conseguentemente abbandonando quella di capo fazione – aprire le finestre e far entrare idee e contributi. “La sindrome del bunker” sta portando invece Meloni a impilare sacchi di sabbia davanti all’ingresso di una ridotta sempre più stretta. Personalmente considero tutto ciò un peccato e un’occasione perduta. L’Italia ha bisogno di una leadership conservatrice moderna e pragmatica tanto quanto ha bisogno di un’area liberale e progressista non ideologica. Il nostro destino, insieme a buona parte dei paesi occidentali, sembra invece quello di essere obbligati a barcamenarci in un eterno conflitto tra influencer. Penso che solo il precipitare della crisi profonda dell’occidente chiuderà questa stagione. Sarà, come sempre per l’Italia, una scelta obbligata e non una strada consapevolmente imboccata.

Carlo Calenda, leader di Azione

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