Carlo Orsi, professione fotografo, che vuol dire tutto, ma soprattutto molto altro. Perché fare il fotografo per Orsi – per gli amici Il Carlo – significava non solo fare foto, ma incontrare le persone. Una scusa buona, anzi ottima per lavorare, vivere e conoscere. Nato a Milano nel 1941, casa di ringhiera in via Solferino prima che il centro di Milano diventasse cosa altra, diversa e irriconoscibile per chi come lui aveva come punto fisso il Bar Jamaica e come prospettiva l’avventura. Mancato a ottanta anni esatti nel 2021 viene oggi ricordato ed è il caso di dire celebrato, nella magnifica mostra “Miracoli a Milano. Carlo Orsi fotografo” visitabile da oggi 31 ottobre e che occupa gli spazi sontuosi di Palazzo Morando, poco lontano da Palazzo Reale dove è in corso l’esposizione di dedicata a Ugo Mulas di cui Orsi fu amico e assistente (nell’articolo in prima colonna). Un dialogo a breve distanza.
Curata da Giangiacomo Schiavi e Giorgio Terruzzi, la mostra si avvale della consulenza dell’Archivio Carlo Orsi presieduto con attenzione e cura da Silvana Beretta che di Orsi fu la moglie e compagna di vita. Un archivio che si palesa nell’impressionante numero di centoventimila negativi, un lavoro lungo davvero una vita, un’ostinazione incredibile e una curiosità mai doma quella di Carlo Orsi. Nell’elegante allestimento pensato da Vertigo Syndrome è così possibile vedere centoquaranta scatti (stampe vintage originali in bianco e nero) che sintetizzano il percorso di Carlo Orsi in quattro sezioni pensate dai curatori anche per offrire al pubblico uno sguardo inedito sull’opera di un fotografo apparentemente da sempre molto orientato su Milano: a partire dalle sue due principali pubblicazioni, “Milano 1965” con i testi di Dino Buzzati e “Milano 2015” con i testi di Aldo Nove. In realtà come spesso capita ai milanesi il percorso di Carlo Orsi va ben oltre la città natia. Milano con lui si mosse infatti nel mondo espandendosi alla moda e allo sport, all’industria e ai reportage civili. Quindi se una sezione è doverosamente dedicata a Milano fotografata ininterrottamente per sessant’anni, un altra riguarda i ritratti che coinvolgono figure dell’arte contemporanea come Arnaldo Pomodoro, Janis Kounellis, Mario Schifano, artisti e amici come Dario Fo, Mariangela Melato, Renato Pozzetto, Luciano Pavarotti e sportivi come Valentino Rossi e Michael Schumacher.
Ma a colpire forse più di tutte è la sezione dedicata al lavoro su moda e industria dove Orsi sintetizza in uno scatto idee geniali che vanno ben al di là delle esigenze dei vari brand dell’epoca, ma che riflettono un’identità più profonda legata a un fare e più esattamente a un fare bene che su cui ancora oggi Milano e la sua industria creativa naviga e si rappresenta nel mondo. Un fare che arriva ai luoghi del cuore, i reportage compiuti per la caduta del muro di Berlino e al seguito delle missioni umanitarie che lo videro volontario al fianco dei medici di Interplast in Tibet, Uganda, Bangladesh e Bolivia.
Una pietra dura e preziosa quella di Carlo Orsi, non facile e mai accondiscendente e per questo capace di splendere in un’opera fotografica assoluta e originale, ma anche in una risata improvvisa che manca tantissimo a chi lo ha conosciuto e amato (così come mancano le sue sfuriate divertenti seppur temibili). Accompagna la mostra un grande catalogo che accoglie gli scatti di Orsi insieme a un ricco apparato critico e antologico. Pubblicato da Moebius il volume fa parte di un discorso che i curatori svilupperanno per tutta la durata della mostra (fino al 2 febbraio 2025) con un pubblic program che vedrà tra i protagonisti figure della cultura e dello spettacolo come Ferruccio De Bortoli, Franco Mussida, Paolo Kessisoglu, Don Gino Rigoldi e Fabio Treves. Un’occasione per ragionare su quello che è stata Milano (e il mondo) attraverso le fotografie di Carlo Orsi e soprattutto quello su che potrebbe e dovrebbe essere, senza mai rinunciare all’utopia e all’incanto, alla ragione e ai miracoli.