Se dovesse vincere l’ex presidente, l’Unione europea potrebbe essere esclusa da alcune innovazioni tecnologiche o usufruirne con grave ritardo. Il rischio è che alcune di queste siano usate contro di noi o contro i nostri interessi strategici
Molti ormai pensano che Trump vincerà le elezioni presidenziali (sui siti online che scommettono su questo evento, la probabilità di una sua vittoria ha superato il 60 per cento). Se questo accadesse, quali sarebbero le conseguenze per l’Europa? Finora l’Europa ha tratto grandi benefici dalla leadership mondiale americana. Abbiamo usufruito di protezione militare senza pagarne il costo, come non cessa di ricordarci Trump. Abbiamo tratto vantaggio dagli scambi internazionali, grazie a un ordine economico dovuto soprattutto alla cooperazione con gli Stati Uniti. Siamo integrati in un sistema di pagamenti e in un mercato finanziario sostenuti dalla forza economica degli Stati Uniti. Beneficiamo delle innovazioni tecnologiche e scientifiche che, sempre di più, nascono oltreoceano. L’allineamento di valori con la più potente democrazia del mondo ha contribuito a stabilizzare anche le nostre istituzioni politiche.
Con l’elezione di Trump, tutto questo potrebbe finire. E’ difficile prevedere cosa farebbe concretamente una seconda amministrazione Trump, e probabilmente non lo sa neanche lui. In campo militare, probabilmente l’Europa verrebbe lasciata sola a difendersi dall’imperialismo sovietico. In campo economico, il governo americano cercherebbe di usare tutti gli strumenti a sua disposizione per reimpostare le relazioni con l’Europa: dalla protezione commerciale, alla regolamentazione, alle discriminazioni fiscali. Non è affatto detto che gli Stati Uniti ne trarrebbero davvero un vantaggio duraturo, anzi. Ma è ciò che Trump ha ripetuto più volte in passato, e non c’è ragione per pensare che menta. E se le istituzioni democratiche americane dovessero regredire, le conseguenze si farebbero sentire in tutto il mondo. In qualunque momento, una svolta di questo tipo nell’indirizzo politico americano sarebbe importante per il futuro dell’Europa.
Ma queste elezioni avvengono in un momento particolare. Non solo per via della situazione geopolitica e delle guerre in corso, ma soprattutto perché siamo agli albori di una rivoluzione tecnologica con pochi precedenti. Non sappiamo quali saranno gli sviluppi e le applicazioni future dell’intelligenza artificiale, ma alcune cose sono già chiare. Primo, l’intelligenza artificiale sposterà in modo rilevante la frontiera della conoscenza in molti campi: dalla medicina, alla biologia, alla chimica, alla fisica, alle scienze sociali. Secondo l’italo-americano Dario Omedei, uno dei pionieri dell’intelligenza artificiale, nell’arco di 5-10 anni l’intelligenza artificiale avrà fatto un salto qualitativo enorme, paragonabile ad avere “un paese di geni in un centro dati”. Secondo, le applicazioni di questa nuova tecnologia trasformeranno l’organizzazione di molte attività, nei trasporti, nel modo di produrre, nel commercio, in finanza, nel settore militare, nel mondo dell’arte, della cultura e dell’intrattenimento. Terzo, tutto questo potrebbe accadere molto presto, appunto nell’arco di 5-10 anni. Quarto, le imprese americane sono all’avanguardia di questa rivoluzione.
Come ci ha ricordato recentemente il Rapporto Draghi, è comunque rischioso per l’economia europea accumulare ritardi e non riuscire a partecipare a questa rivoluzione imminente. Ma i rischi sarebbero molto più gravi, e non solo economici, se un’America così forte dal punto di vista economico e tecnologico fosse guidata da un’amministrazione ostile all’Europa, e che non ne condivide i valori e gli interessi strategici. Potremmo essere esclusi da alcune innovazioni tecnologiche o usufruirne con grave ritardo, o ancora alcune innovazioni potrebbero essere usate contro di noi o contro i nostri interessi strategici, e diventerebbe ancora più difficile restare vicini alla frontiera delle nuove tecnologie.
Naturalmente non si tratta solo dell’elezione di una particolare persona alla presidenza degli Stati Uniti. Che vinca o no le elezioni, Trump rappresentata circa la metà del suo elettorato, e una parte rilevante dell’establishment economico e finanziario americano. Inoltre, il sistema politico americano, per quanto spesso paralizzato dal punto di vista legislativo, concentra una grande quantità di poteri nelle mani dell’esecutivo. Anche se Trump non vincesse ora le elezioni, l’Europa rimarrebbe comunque esposta all’incertezza politica che ormai incombe sugli Stati Uniti. Le ragioni per cui l’Europa è così esposta alla minaccia di una svolta politica negli Stati Uniti sono note. Gli stati europei, da soli, sono troppo piccoli per affrontare le sfide globali e tecnologiche.
In passato, la frammentazione politica è stata una forza dell’Europa, perché ha consentito ai paesi europei di sperimentare strade diverse, ha contrastato l’emergere di regimi politici autoritari e un eccessivo accentramento di poteri, ha stimolato la competizione tra stati. Ma nel mondo di oggi, la frammentazione è diventata un handicap, tanto più grave quanto meno possiamo fare affidamento sul grande paese a cui finora ci siamo appoggiati.
Viene quasi da dire: forse sarebbe meglio se Trump vincesse le elezioni. In questo modo, gli europei forse capirebbero più in fretta che non ci sono alternative all’integrazione politica europea. E’ vero, forse gli stati europei non sono ancora pronti a questo passo, il nazionalismo forse è troppo forte. Ma non è affatto detto che più tempo a disposizione sarebbe utilizzato per prepararsi a integrarsi politicamente. Al contrario, rischieremmo di arrivare all’elezione di un prossimo Trump con un’America ancora più forte dal punto di vista economico, e con un divario tecnologico, scientifico e militare ancora più grande.