Le 120 giornate di Dario Bellezza, l’unico poeta davvero romano

Il suo stile complesso e antico, celebrato da Pasolini come il migliore della sua generazione, si lega drammaticamente alla città di Roma. Lungo la sua vita la bellezza poetica si intreccia con la desolazione della realtà e la violenza di una malattia rivelata contro il suo volere. Storia di un artista nato dimenticato

I poeti muoiono soli. Tragicamente, silenziosamente soli. E Dario Bellezza oltre a non essere stato eccezione a questo dolente paradigma ne è stato invece assoluta incarnazione. E proprio nella carne, straziata, isolata, occultata tra le piaghe di una Roma incresciosa e indifferente, finì la parabola poetica ed esistenziale di un poeta che lodato, massimamente, da Pasolini, finì scansato e dimenticato, accudito solo dai pochi suoi amici, come Antonio Veneziani, e ricordato da altrettanto pochi, come Renzo Paris e Barbara Alberti.



Morto nel marzo del 1996, allo Spallanzani di Roma, perché per la biografia dei poeti è sempre importante andare a ritroso, con la testa voltata dietro come gli indovini puniti da Dante nel suo inferno; li vedi procedere, coi lumi bassi e sfarfallanti d’arancio, sofferenti, muti nonostante la geologia di parole che cesellano come cristalli di desolazione. Fu l’Aids a portarlo via e a Bellezza è anche legata una delle più grame vicende di violazione della privacy che come ha riconosciuto Barbara Alberti in una recente intervista contribuì senza dubbio a minarlo ancora di più nel fisico e nell’anima; ovvero la sua condizione di malato venne rivelata, strillata, su un noto quotidiano romano, nel cuore di una vicenda di cronaca che fu resa pretesto per questa pubblica esecrazione. Bellezza aveva tentato, soprattutto a beneficio del padre e dei suoi pregiudizi, di nascondere quel male, in una straniante inversione del percorso di un Hervé Guibert, e poi si era trovato travolto e macinato dall’articolo di giornale.



La vicenda, talmente grave, attirò la giusta attenzione della politica che convogliò al Senato una riflessione sui dati personali, invitando proprio Bellezza; Il 4 ottobre 1995, venne organizzata dai Verdi una conferenza stampa dal titolo “Se non ora, quando? Il caso Dario Bellezza, l’Aids e la macchina”, a cui parteciparono letterati come Alberto Bevilacqua, Barbara Alberti, lo stesso Bellezza, e parlamentari con una foltissima e nutrita presenza di Forza Italia, tra cui Antonio Guidi e Luigi Cerina. Bellezza fu un poeta drammaticamente legato a Roma, alle letture del caveau di via di Ripetta, in quella declamazione sovente sfrontata della propria essenza snudata in punta di versi. Nato a Trastevere, il 5 settembre del 1944, vissuto a Monteverde, fu uno dei pochi poeti realmente romani, in una città che importava derive di poeti giunti da ogni angolo del Paese.



La sua produzione, non solo poetica ma anche narrativa, da “Lettere da Sodoma” a “Invettive e licenze” con cui esordì e che gli valse la celebrazione di Pasolini che in lui acclamò e vide il miglior poeta della sua generazione, fu sempre inestricabilmente un patto con il proprio io, una serpentina fuga dall’ombra che lo cacciava, indugiando per gli stanchi passi in via dei Pettinari, dove visse con la amata e odiata Amelia Rosselli. Lungo piazza Navona, di notte, alla ricerca di marchette e di un sesso tanto effimero quanto carnograficamente esemplificante un vuoto che inghiotte e che grida.


Il suo linguaggio, complesso e sovente antico, quasi sfrontato nella divaricazione tra oggetto narrato e stile, fu sempre filtrato attraverso una errabonda disperazione che lo fece scomparire agli occhi anche quando era ancora considerato e celebrato. Una nebbia grigina che scrutava forse il personaggio, ma non scandagliava nel profondo della sua esistenza.



Anche in quella furente e ormai famosissima lite televisiva con Aldo Busi si conchiude tutta la ellissi di un fraintendimento supremo: mentre Bellezza assalta Busi accusandolo di aver trasformato in maschera parodistica la propria omosessualità, esibita in maniera artefatta e plastica, lontana dall’io, Busi rintuzza e replica con la più prevedibile e lontana delle difese, quella della frustrazione. Bellezza lo avrebbe avuto cioè in antipatia in quanto ormai dimenticato, fuori dal giro letterario. Bellezza in realtà nacque dimenticato, inattuale, obliquo rispetto le mode e gli stilemi, influenzato da molti, Rosselli, Morante, certo ma in realtà da nessuno se non dal proprio io, dal proprio sofferto, struggente, personalissimo bisogno di esistere.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.