In Georgia l’opposizione fa un patto contro i politici ingombranti

Il miliardario Ivanishvili, la sua casa da Tony Stark e le paure dei complotti che hanno paralizzato Tbilisi. Un referendum tra l’Ue e Mosca

Tbilisi, dalla nostra inviata. Sono due i punti chiari dell’opposizione georgiana mentre attende il risultato del voto di oggi: assicurare una transizione del potere tranquilla e liberare, almeno per un po’, la politica georgiana da figure ingombranti, vistose e divisive. L’opposizione ha promesso unità, ha accettato di aderire alla proposta della presidente, Salomé Zourabichvili, di appoggiare un governo tecnico poco colorato politicamente, perché la Georgia ha bisogno di abbandonare i suoi caratteri forti, impressi nella storia e nel Dna della popolazione, e un periodo contenuto di piani dettagliati e politici avvolti da uno scialbore innocuo potrebbe essere il programma noioso e perfetto per la ripartenza dopo il governo di Sogno georgiano. Non è allergia all’uomo carismatico, è insofferenza per l’uomo-poltico debordante che finisce per diventare il padrone di un partito e il tema di ogni dibattito.

Bidzina Ivanishvili, il miliardario fondatore di Sogno georgiano, premier nel 2012, è stato l’autore della politica georgiana degli ultimi anni. Il suo partito è la sua corte, nulla si muove senza una sua decisione presa, sovente, dentro alla sua casa, che si intravede da pochi angoli di Tbilisi. Per notare il castello di vetro di Ivanishvili bisogna camminare per le salite del Giardino botanico, avvicinarsi alla Kartlis Deda, la statua colossale che rappresenta la Madre dei georgiani, fino a scorgere una struttura dalle forme futuristiche che si nasconde tra la vegetazione, citazione georgiana dell’abitazione americanissima di Tony Stark: Ivanishvili adora fare le cose in grande e i paragoni azzardati. Esce poco, da tempo ormai è ossessionato dall’idea che esista una cospirazione occidentale contro di lui, ha pochi contatti con il mondo esterno ed è un gran consumatore di propaganda russa, che alimenta la sua paura di teorie del complotto. In questo stato di isolamento decide e dispone di un partito, non è per forza un entusiasta del Cremlino, ma vede in Vladimir Putin quello che hanno visto tanti prima di lui: un funzionario non eccezionale che è riuscito a rimanere al potere per oltre vent’anni, quindi da imitare. Ivanishvili è nato povero, figlio di un minatore, ultimo di una famiglia di cinque figli, ha raccontato di essere cresciuto senza scarpe e spazzando i pavimenti di una fabbrica per poter studiare ingegneria. Lasciò la Georgia per Mosca e divenne ricco negli anni in cui in Russia chi era veloce a sufficienza ad accaparrarsi parti dello stato poteva diventare benestante in modo indicibile, e così avvenne a Ivanishvili che spopolò passando dalla tecnologia all’industria pesante e riuscì ad aprire una sua banca. Ivanishvili è un uomo da dietro le quinte, non un attore da proscenio, è interessato al potere, ma rifugge i primi piani. Si interessò alla politica ma senza volerla fare, ingaggiando una battaglia con l’altro oligarca più famoso della Georgia: Badri Patarkatsishvili, braccio destro del miliardario russo Berezovsky che fece la fortuna di Putin al Cremlino, senza essere ricambiato. Nel 2003, quando apparve l’altro protagonista della Georgia, il riformatore Mikheil Saakashvili, Patarkatsishvili era contro questo politico impetuoso con voglia di occidente, Ivanishvili invece era a favore e lo fu fino a quando, senza una ragione che sia nota, decise invece di non sostenere più Saakashvili, anzi divenne esattamente l’anti Saakashvili.

La politica georgiana è turbolenta, fatta di soluzioni radicali e passioni impetuose che trovano spazio in un popolo che è stato sempre contestatore. In politica prevalgono i corpo a corpo e Ivanishvili si presentò come la persona giusta per instaurare una nuova èra, per tranquillizzare un paese focoso, per trovare una strada di mezzo tra l’occidente e la Russia. Con questo programma, Ivanishvili piacque molto non soltanto nel suo villaggio natale, Chorvila, dove rimise a posto strade, scuole e case private per assicurarsi i voti dei suoi concittadini, non dispiacque neppure ai georgiani che si sentivano traditi dal governo precedente ed erano spaventati dopo l’invasione russa del 2008, e soprattutto Ivanishvili entusiasmò l’occidente che, stanco dell’irruenza di Saakashvili, perseguiva l’illusione di buoni rapporti con la Russia e voleva una Georgia meno determinata. Ivanishvili vinse, poi si ritirò sulla sua montagna, tra lemuri, fenicotteri, alberi rari. I funzionari occidentali prima erano di casa nelle sue stanze, fino al momento in cui il miliardario non si convinse che dietro ai suoi problemi con Credit Suisse ci fosse l’Amministrazione americana. Ogni decisione di Sogno georgiano continua a essere presa da Ivanishvili, sarà lui, personalmente, a decidere come comportarsi dopo il voto: gli Stati Uniti hanno annunciato delle sanzioni contro di lui per le leggi liberticide che allontanano il paese dal suo percorso europeo, mettendo sul tavolo una possibile carta di scambio postelettorale per una transizione del potere tranquilla nel caso in cui venga sconfitto ma non accetti di andarsene. Imporre l’anonimato alla politica del dopo Sogno georgiano è una condizione dettata dalla presidente Zourabichvili anche all’opposizione: ci si unisce poco quando ci sono di mezzo personaggi invadenti. E questa volta, nel voto di oggi, l’unità può cambiare tutto.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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