Sarà anche ottuso, sordo, cieco, ideologico, ma ti restituisce sempre il pallone come tu glielo hai dato. È questo il suo segreto, o per meglio dire la sua magica proprietà
Questa mattina mi sono svegliato senza pensieri, e allora ho guardato un muro, cercando ispirazione. E il muro, incredibilmente, me l’ha data. Solitamente il muro non capisce, è ottuso, non ha sentimenti. Il muro è solitamente grigio, non veste colori particolarmente sgargianti. Il muro è sordo, il muro è cieco, spesso è ideologico. Eppure il mio muro deve avere qualcosa di speciale perché mi ha trasmesso un bel ricordo, un’emozione legata al passato. Penserete al crollo del famoso muro di Berlino, avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1989, e invece no, non c’entra assolutamente nulla.
Il muro di casa mia, bianco e inespressivo, mi ha ricordato di quando da bambino giocavo da solo in cortile, tirando il pallone contro una parete che delimitava la casa dei vicini. Il rumore provocato dal rimbalzo era più o meno questo: Tu tun tu tun, tu tun tu tun. Molto spesso mi capitava di venire rimproverato dalla povera vicina, la quale, esasperata, usciva in giardino intimandomi di smettere. Mi interrompevo per un po’, ma poi proseguivo, come un robot alla ricerca del controllo perfetto. Perché il muro, se è completamente liscio (e quello della vicina lo era) sarà anche ottuso, sordo, cieco e ideologico, però ti restituisce sempre il pallone come tu glielo hai dato. È questo il suo segreto, o per meglio dire la sua magica proprietà. Forte di quell’esercizio reiterato, quasi compulsivo, avevo acquisito nel tempo una certa proprietà tecnica.
Insomma al pallone davo del tu (questa frase mi è costato scriverla). Un giorno, su suggerimento di un amico, sono andato ad allenarmi in una vera squadra, una delle più note della città. Partito da casa con la borsa in mano ero parecchio emozionato, “chissà che cosa mi faranno fare”. Nel giro di poco verificai di essere finito dentro un bell’inganno. Più o meno, l’allenamento nella squadra importante era lo stesso che facevo giù in cortile, dove tartassavo di rimbalzi la vicina. Mi ritrovai infatti davanti a un muro, questa volta grigio ma sempre liscio e inespressivo, con un signore piuttosto sbrigativo (l’allenatore, appresi successivamente), che mi invitava a palleggiarvi contro provocando ripetutamente lo stesso rumore, tu tum tu tum. “Più volte lo farai”, mi disse, “e più bravo diventerai tecnicamente”. Stupidamente non lo feci, se non per poche settimane ancora, motivo per cui non sono diventato un calciatore (scherzo). Quelle parole però mi sono tornate in mente spesso, pensando a come si lavora oggi nei settori giovanili, dove il muro è praticamente sparito, considerato dai nuovi allenatori un metodo vecchio e superato. Oggi, anche ai bambini, si insegna “la costruzione dal basso”. Che poi, a pensarci bene, è lo stesso modo con cui si fanno i muri.