Nonostante i controlli sulle esportazioni, i microchip statunitensi entrano in Russia attraverso paesi terzi. A volte i cicli di distribuzione possono coinvolgere più stati e persino diverse aziende all’interno dello stesso paese, aggirando così le sanzioni
Dopo la notizia dell’invio di militari della Corea del nord in Russia per partecipare alla guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina, gli alleati occidentali si sono allarmati, a parole. A Kyiv invece si stanno analizzando le armi di Pyongyang che la Russia già da tempo lancia sul paese aggredito. Lo scorso 7 settembre, ad esempio, le forze armate ucraine hanno abbattuto un missile balistico nordcoreano KN-23/24 nella regione di Poltava, vicino al villaggio di Mirnoye. La gittata massima di lancio di questo missile è di 690 chilometri e il peso della sua testata è stimato in 500 chilogrammi. Trattandosi di un missile balistico, è molto difficile da intercettare con l’aiuto delle difese aeree. Eppure l’esercito ucraino è riuscito comunque ad abbatterlo, a raccogliere e analizzare le componenti ritrovate e persino a stabilire il suo numero di serie: 312518759.
“Il missile nordcoreano ha una particolarità: quando viene abbattuto, non rimane molto. La sua testata è così imbottita che quando esplode viene bruciato quasi tutto”, spiega al Foglio Victoria Vyshnivska, ricercatrice senior presso la Nako, un’organizzazione non governativa che analizza le componenti delle armi utilizzate dalla Russia contro l’Ucraina. Per questo motivo, il fatto che gli esperti siano riusciti a raccogliere varie parti dal KN-23/24 è una fortuna rara, sottolinea l’esperta. Tra i componenti microelettronici trovati, ci sono anche molte componenti occidentali. Sono prodotti da nove aziende diverse: cinque sono americane (Diodes Inc, Bourns, Broadcom, Analog Devices, Avago), due svizzere (Traco Power, STMicroelectronics), una olandese (NXP) e una britannica (XP Power). Le componenti sono state realizzate tra il 2021 e il 2023, il che significa che alcune di queste sono state prodotte dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Il ministro degli Esteri ucraino, Andriy Sibiga, non ha preso bene la scoperta di componenti occidentali nel missile nordcoreano: “Putin e Kim Jong Un hanno ancora accesso a questi missili”, ha scritto sul social X la settimana scorsa, invitando gli alleati a rafforzare le sanzioni e i controlli sulle esportazioni.
Per quanto riguarda le armi russe, nei due anni e mezzo di guerra, gli esperti ucraini del Nako hanno studiato oltre 2.500 componenti trovate in 30 armi ed equipaggiamenti dell’esercito russo. 2.000 componenti sono degli aerei russi Mig-31, Su-27, Su-30, Su-34, Su-35 e Su-57, e sono stati forniti alla Russia da 22 paesi. Allo stesso tempo, il 64 per cento delle componenti occidentali trovate sui jet da combattimento russi sono state prodotte da aziende americane, il 16 per cento da aziende giapponesi, circa il 5 per cento da aziende svizzere, il 4 per cento da aziende tedesche, il 2,6 per cento da aziende francesi e l’1,65 per cento da aziende olandesi. Si tratta soprattutto di microelettronica, spiega Vyshnivska. Ad esempio, i circuiti elettronici integrati programmabili (FPGA) sono molto importanti per missili, droni e aerei.
“Sono essenzialmente il cervello dei vari sottosistemi – navigazione, comunicazione e controllo”, ci dice l’analista. Nonostante i controlli sulle esportazioni, i microchip statunitensi entrano in Russia attraverso paesi terzi. A volte i cicli di distribuzione possono coinvolgere più paesi e persino diverse aziende all’interno dello stesso paese, aggirando così le sanzioni occidentali. La catena può raggiungere i paesi dell’Asia centrale – Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan. Ma crescono anche le esportazioni tra Russia e Cina, soprattutto con Hong Kong, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Serbia, Seychelles. Pertanto, secondo l’esperta, è impossibile interrompere completamente queste catene e tagliare l’accesso dei microchip occidentali alla Russia. Ma è possibile limitare e complicare in modo significativo il loro percorso di consegna. Per farlo, è necessario che i produttori stessi rafforzino il controllo sui loro prodotti, tracciandone il consumatore finale, suggerisce Vyshnivska.
E devono anche collaborare con i paesi terzi attraverso i quali trapelano questi beni essenziali per l’esercito russo. “I sistemi di controllo delle esportazioni negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell’Unione europea non sono abbastanza sviluppati per affrontare i rischi attuali”, sottolinea l’esperta. Alcune misure sono già state adottate: i paesi dell’Ue hanno introdotto la responsabilità penale per la violazione e l’elusione delle sanzioni a partire dal maggio 2024. Secondo fonti del Financial Times, nelle ultime settimane la Turchia ha vietato l’esportazione in Russia di oltre 40 categorie di beni americani utilizzabili per scopi militari, tra cui microchip e sistemi di controllo a distanza, e il divieto sarebbe stato imposto dopo che Washington ha messo in guardia Ankara sulle conseguenze degli scambi con Mosca.
Secondo il rapporto del Nako, l’Italia non è nell’elenco dei paesi in cui vengono fabbricati microchip occidentali o attraverso i quali vengono consegnati microchip occidentali alla Russia. Ma le apparecchiature italiane potrebbero essere ancora presenti in alcune fabbriche aeronautiche russe. Ad esempio, l’Irkutsk Aviation Plant, molto prima dell’invasione su larga scala, ha acquistato una fresatrice Jomax 265 dall’azienda italiana Jobs, che si occupa della lavorazione dei pezzi. E lo stabilimento Signal radio di Stavropol, che produce varie componenti elettroniche per l’aviazione, compresi quelli per il Su-57, che utilizzava in precedenza apparecchiature dell’italiana Fagima. Lo dimostra un filmato dell’impianto del 2020.
Per quanto riguarda la situazione attuale, Vyshnivska afferma che né la Russia né la Corea del nord hanno ancora la capacità di eguagliare la microelettronica occidentale. “Per questo motivo ne sono dipendenti”, spiega. Anche se la Russia dovesse passare alle componenti cinesi, ci vorrà ancora molto tempo. Pertanto, i paesi occidentali devono sviluppare un meccanismo di controllo delle esportazioni più rigoroso e contrastare l’elusione delle sanzioni già esistenti. Solo così il costo per la Russia di ogni bombardamento delle città ucraine aumenterà.