Le liti, le accuse e le interferenze di Putin. Storia dell’opposizione russa disunita

Gli argomenti che dividono il gruppo molto variegato della dissidenza sono le battaglie tra giovani e anziani, incomprensioni su come gestire la corruzione, su come affrontare il tema della storia russa, su come risolvere i rapporti con l’Ucraina. Il Cremlino osserva e punta su queste divisioni

Varsavia, dalla nostra inviata. Il movimento dell’opposizione russa sembra soggetto a un fenomeno ciclico: si ingrandisce, si gonfia, si fa granitico, per poi perdersi in troppi rivoli per poter essere efficace. Vladimir Putin ha osservato questo fenomeno, ha puntato sulle divisioni, si è liberato delle persone più ingombranti ed è rimasto al Cremlino tra brogli, uccisioni e avversari poco incisivi. Dopo l’inizio della seconda invasione dell’Ucraina nel 2022, l’opposizione sembrava essersi ritrovata, pareva avere un programma semplice e attendista: tra noi ci sono divisioni, ma ne parleremo dopo, quando questo regime sarà crollato. Tra il carcere e l’esilio, Putin è riuscito a rendere la Russia un paese monocolore, e gli oppositori all’estero facevano programmi. La morte di Alexei Navalny in una colonia penale ha messo tutti gli oppositori in riga dietro all’urgenza di salvare chi era ancora in prigione, tutti parevano uniti, pronti a muoversi come una falange, a lasciar perdere i rivoli e, a marzo, a Varsavia, Ilja Ponomarev, ex deputato della Duma molto ambizioso, aveva organizzato un congresso dell’opposizione tingendo di bandiere bianche e blu il nuovo mantra dell’antiputinismo: dobbiamo essere pronti, mettiamo giù un programma di azione.

Tutto si è frantumato di nuovo, a pochi mesi dallo scambio di prigionieri tra Russia e occidente che ha permesso di salvare dalla prigione oppositori politici e giornalisti condannati per aver criticato il regime, la guerra, l’esercito. Il mese scorso la Fondazione anticorruzione di Navalny ha accusato il dissidente vicino a Mikhail Khodorkovsky, Leonid Nevzlin, di aver orchestrato un piano per aggredire Leonid Volkov, collaboratore molto stretto di Navalny, che vive a Vilnius, in Lituania, da diverso tempo. Nevzlin ha negato le accuse, le prove per il momento mancano e i rapporti del resto dell’opposizione con la Fondazione anticorruzione sono tornati di nuovo tesi, sospettosi. Maxim Kats, un attivista che pubblica contenuti su YouTube dall’esilio, ha accusato la Fondazione di aver accettato le donazioni di due imprenditori russi e di aver accettato di metterli sotto una luce positiva soltanto per soldi e non perché davvero avrebbero preso le distanze dal regime russo e dalla sua corruzione.

Gli argomenti che dividono gli oppositori sono molti, dentro al gruppo molto variegato della dissidenza ci sono battaglie tra giovani e anziani, incomprensioni su come gestire la corruzione, su come affrontare il tema della storia russa, su come risolvere i rapporti con l’Ucraina, su come sviluppare le relazioni con gli Stati Uniti o con l’Unione europea, sul nazionalismo russo che spaventa ancora i vicini. Ci sono personalità importanti, che però non riescono a unire, al di là delle esperienze personali tragiche. In uno dei primi discorsi che Vladimir Kara-Murza ha tenuto dopo essere stato liberato dalla prigione in cui era detenuto dal 2022, quando era tornato in Russia per contrastare l’invasione contro Kyiv, ha detto di essere certo che il regime di Putin sta per cadere, nonostante la guerra vada avanti, nonostante non sembrino esserci crepe dentro al Cremlino, tra i ministeri, tra gli oligarchi, ma arriverà comunque quel momento di frattura che farà venire giù tutto e, in quel momento, ha detto Kara-Murza, “non possiamo sbagliare di nuovo, non possiamo rovinare quella transizione”. Il “di nuovo” si porta dietro la consapevolezza di tanti fallimenti pure autoindotti. “Sarà mia responsabilità, con i miei colleghi della società civile russa, assicurarci che siamo pronti per quel momento, perché quell’opportunità non va persa”. Dietro alle divisioni dell’opposizione c’è infine un’altra ombra e, ne ha parlato per primo Khodorkovsky, sostenendo che la Fondazione di Navalny potrebbe essere finita nel bel mezzo di un complotto dei servizi russi che, dopo aver visto i tentativi della dissidenza di organizzare dai centri tra Varsavia, Berlino, Vilnius e Washington, un programma credibile, si sono messi ad agire dietro le quinte, risvegliando i malumori che esistevano già, proprio a ridosso della pubblicazione di Patriot, le memorie di Navalny.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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