Il Sinodo è la Via Crucis di Papa Francesco

C’è stata anche una sorta di show su un battello in viaggio sul Tevere, con “prelate” intente a consacrare diaconesse; evento ambiziosamente definito “moto di protesta” ma che in realtà pareva di più una di quelle feste da centro anziani del giovedì pomeriggio, guardando l’età media delle ordinande e delle ordinate, nonché del popolo lì convenuto a festeggiare la ribellione

Roma. L’effetto della “comunicazione” ai padri sinodali data dal cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto per la Dottrina della fede, è quello della Nota praevia con cui nel 1964 Paolo VI ribadì il primato del papato sul collegio episcopale: “Il sommo Pontefice, cui è affidata la cura di tutto il gregge di Cristo, giudica e determina, secondo le necessità della Chiesa che variano nel corso dei secoli, il modo col quale questa cura deve essere attuata, sia in modo personale, sia in modo collegiale” ma “si tratta di unione dei vescovi col loro capo, e mai di azione dei vescovi indipendentemente dal Papa”. Quella volta però di mezzo c’erano questioni vitali per la Chiesa, tant’è che la Nota fu poi allegata alla costituzione Lumen gentium. Stavolta, l’altolà del cardinal Fernández è arrivato sulle diaconesse. Scatenando un putiferio che ha rotto la narcotica fase finale del Sinodo sulla sinodalità, giunta al suo epilogo senza che qualcuno se ne accorgesse. Doveva cambiare il mondo, rovesciare piramidi e gerarchie, scuotere l’albero. E’ finito con l’accapigliarsi sull’ordinazione delle donne diacono, con briefing quotidiani in cui non può mancare la domanda sulle diaconesse, con vescovi e suore che danno la loro opinione in merito quasi si trattasse di questione escatologica: o si porta la signora con camicione sull’altare, o la fede s’estinguerà. C’è stata anche una sorta di show su un battello in viaggio sul Tevere, con “prelate” intente a consacrare diaconesse; evento ambiziosamente definito “moto di protesta” ma che in realtà pareva di più una di quelle feste da centro anziani del giovedì pomeriggio, guardando l’età media delle ordinande e delle ordinate, nonché del popolo lì convenuto a festeggiare la ribellione.

Erano giorni che tra i silenzi del Sinodo – i padri, anche quelli più determinati a “cambiare” e a “svoltare”, non lesinano commenti circa l’insoddisfazione per il discutere che appare fine a se stesso e sovente inconcludente – montava la protesta. Che partiva però da una mossa invernale del Pontefice: colpito dalla reazione a Fiducia supplicans con la benedizione a tempo per le coppie gay, Francesco aveva preferito destinare a dieci specifici gruppi di lavoro i temi più controversi e delicati. Anche per salvare il Sinodo, che mai avrebbe potuto trovare un’intesa su questioni che dividono e perfino lacerano la Chiesa, con istanze e orientamenti diversi da continente a continente. Di fatto, nonostante la rassicurazioni, veniva tolta alla platea sinodale la possibilità di proporre soluzioni o innovazioni sui ministeri sacerdotali: niente dibattiti sul celibato né sul diaconato. Però, nonostante la tanto declamata “trasparenza”, i componenti del gruppo numero cinque, quello deputato ad approfondire tra le altre cose il diaconato, restavano ignoti. E quando qualche membro del Sinodo domandava di poter interloquire con questi “esperti”, si sentiva rispondere che poteva mandare una mail. A una riunione fissata per capirne di più, il cardinale prefetto Fernández non si presentava. Secondo il National Catholic Reporter, un irato padre avrebbe definito “vergognosa” l’assenza del titolare di quel che fu il Sant’Uffizio. Ecco allora che lunedì, in apertura di sessione, interveniva proprio Fernández a chiarire la faccenda, non riuscendo a celare una certa irritazione per le proteste. Con una inusuale comunicazione, faceva sapere che viste le proteste avrebbe comunicato i nomi di coloro che fanno parte del gruppo di esperti ma che comunque i ribelli potevano rassegnarsi: di diaconesse non se ne parla. Anche perché è il Papa a non voler dare il via libera. “Sappiamo che il Santo Padre ha espresso che in questo momento la questione del diaconato femminile non è matura e ha chiesto che non ci intratteniamo adesso su questa possibilità”.

Ancora, “pensare al diaconato per alcune donne non risolve la questione delle milioni di donne della Chiesa”. Insomma, “chiedere l’ordinazione di diaconesse non è oggi la risposta più importante per promuovere le donne”. Meglio concentrarsi sul diaconato che già c’è, quello maschile, che pure presenta problemi: “Il diaconato per i maschi: in quante diocesi del mondo è stato accolto. E dove sono stati accolti, quante volte sono solo chierichetti ordinati?”. Frase, quest’ultima, che non pare aver scatenato l’ilare complicità degli astanti.

Le reazioni esterne sono significative, e provengono dal mondo progressista che s’attendeva se non la rivoluzione quantomeno l’avvio di un percorso nuovo. Andrea Grillo, docente a Sant’Anselmo, ha scritto che è “esemplare la sequenza di errori, commessi a diversi livelli del Sinodo (Pontefice, Segreteria del Sinodo, dicastero per la Dottrina della fede), per evitare di affrontare seriamente e compiutamente una questione che il Sinodo, nelle sue fasi precedenti, aveva identificato come importante e su cui attivare l’ascolto – il famoso ascolto che sembrava tanto decisivo – sarebbe stato il minimo sindacale. Invece, con poca lungimiranza, si è preferito procedere con quattro mosse, mediante le quali ci si è messi sempre più nell’angolo e ora, come i bambini, si battono i piedi e ci si chiude nel silenzio”. Si tratta – dice Grillo – di una “sequenza formidabile di questo progressivo arretramento e rimozione”. Le quattro mosse evidenziate si concretizzano “non stralciando dal dibattito sinodale la questione dell’ordinazione diaconale della donna, costituendo un gruppo di studio, non alternativo ma parallelo, che fosse un gruppo reale e non la finzione o la mistificazione di un gruppo, a copertura del bricolage poco ispirato di ufficiali pronti solo a dire ‘signorsì’ non si sa bene a che cosa, sollecitando un confronto con l’esperienza sinodale plurima, articolata, per trovare una sintesi efficace e rispettosa, dialogica e aperta, non sottraendo nessun interlocutore al confronto tra diversi argomenti. Se il dicastero ha argomenti più forti dell’assemblea, o li esibisce davvero o non può pensare di nascondersi, come ha fatto finora, solo dietro una teologia di autorità”. Nota Grillo che “con queste quattro mosse senza futuro, le cose sono arrivate a un punto tale che sarebbe il caso di azzerare il poco lavoro fatto (solo sul piano dell’apologetica, ma di quart’ordine) e iniziare a produrre qualcosa di serio e di fondato, evitando i pregiudizi, le chiusure a priori o le idealizzazioni aggressive”. Alberto Melloni, su X, ha commentato che “quella del diaconato femminile non è una questione: è una restaurazione. Si può posporre, vietare, attendere che si sommi a una comprensione più matura del battesimo e del ministero, ma non ridurla a ‘questione’”. Su SettimanaNews, il teologo Jesús Martínez Gordo scrive che “sono preoccupanti le difficoltà che Francesco sembra avere nel comprendere e accettare che la domanda di uguaglianza scaturisca dal fatto che siamo tutti – indipendentemente dal genere – uguali in dignità, diritti, trattamento e progetti di vita personale. Credo che anche in questo caso l’ora della verità di Francesco si stia rivelando fallita. E, per questo motivo, sospetto che aumenterà il numero di donne che non saranno disposte a continuare ad aspettare”.

Eppure, fin da quando fu indetto il Sinodo universale sulla sinodalità, s’era sempre detto che l’obiettivo era appunto quello di dare un volto “sinodale” alla Chiesa, non tanto di imprimere una svolta clericalizzante all’Istituzione stessa, moltiplicando ministeri e dando soddisfazione a rivendicazioni d’antan. Le rivolte odierne sembrano far intuire, invece, che dietro lo “spirito sinodale” si volesse far passare un programma ben determinato e non troppo distante dagli auspici dei Cammini sinodali più arditi.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.

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