Liguria in bilico, vecchio tic dem che torna (cucinare i segretari a fuoco lento)

A Genova ci si prepara al comizio finale, a Roma si sospira: “In questo partito il malumore c’è quando le cose vanno bene, figuriamoci se andassero male”, ride amaro un parlamentare dem, riavvolgendo la bobina di un film visto troppe volte.

Il retropensiero corre sul filo, nel Pd, ma corre sommessamente, in vista del voto amministrativo ligure di domenica e lunedì prossimi. Ed è un retropensiero che non molla, per quanto non lo si pronunci a voce alta, e che prende la forma di una domanda: e se quello che, da più parti, viene descritto come “testa a testa” (all’americana:“Too close to call”) tra l’ex ministro dem Andrea Orlando, sostenuto da Pd, Avs, M5S e liste civiche, e il sindaco di Genova Marco Bucci, appoggiato da FdI, FI, Alternativa Popolare e liste civiche, finisse con uno sbilanciamento a favore di Bucci, magari lieve ma determinante (per non dire dello sbilanciamento non lieve)? E se il risultato, in tal caso, portasse con sé anche il conto dell’antefatto, con decisione di Italia Viva di non partecipare alle regionali liguri, lasciando agli elettori libertà di scelta, dopo il cedimento del Pd ai veti dell’ex premier e leader del M5s Giuseppe Conte? Se, insomma, quella che, raccontano al Nazareno, era un’oggettiva difficoltà, prendesse la forma di “una difficoltà insormontabile”? Non ci si vuole credere, non ci si vuole pensare, non si vuole neanche, dice un esponente dem, “caricare la segretaria Elly Schlein o il candidato Orlando di un’angoscia preventiva”. Ma se ci si pensa, sotto sotto, si pensa che un eventuale risultato negativo porterebbe con sé la slavina psico-politica dell’incrinatura sulla superficie del meraviglioso mondo di Elly, finora apparentemente immune dal processo di cottura a fuoco lento che, prima di lei, ha investito tutti i segretari del Pd, nessuno escluso, e sempre a partire da un pretesto e da un contesto. E quale miglior contesto di un voto preceduto da tensioni interne (in questo caso sul cda Rai, prima che sul caso Renzi-Conte in Liguria), per cogliere al volo il pretesto e far emergere in superficie il malumore covato a lungo in silenzio presso le aree meno schleiniane del partito, e per riconvertire al volo quelle spolverate di consenso non radicato, ma animato da tentazioni ecumeniche, sul modello dei vecchi “correntoni”? E insomma, mentre ci si prepara, nella coalizione, al comizio finale di venerdì a Genova, nella centralissima Piazza Matteotti, a Roma si sospira: “In questo partito il malumore c’è quando le cose vanno bene, figuriamoci se andassero male”, ride amaro un parlamentare dem, riavvolgendo la bobina di un film visto troppe volte. Un altro, non proprio schleiniano, si dice “tutto sommato fiducioso, nel senso che ce la giochiamo su tre tavoli” (gli altri sono l’Emilia- Romagna e l’Umbria, a novembre), e “su questo tavolo partiamo dall’opposizione, non avendo finora governato la regione, quindi anche se perdessimo non sarebbe uno smacco totale”. Altri invece, tra i parlamentari dem, non vedono rosa come dopo le Europee: “In quel caso il risultato positivo era anche frutto di liste competitive, con candidati all’altezza”, e si capisce che chi parla allude ai candidati riformisti, “tuttavia, in un momento complicato per il paese, con un governo che fa scivoloni un giorno sì e l’altro pure, vedi il caso Albania, direi che possiamo sperare, nonostante tutto, e stare a vedere”. Intanto la segretaria – che in Liguria è già stata a inizio settimana – definisce la squadra che si presenta al voto “un’alleanza che mette al centro l’interesse collettivo, non quello dei pochi; un’alleanza estremamente competitiva che tiene insieme dal Pd ad Avs, dal M5s ai moderati con Calenda e alle liste civiche di Orlando, che sono molto forti perché tengono conto della presenza di professionisti, ma pure di amministratori locali che hanno già dimostrato di saper fare l’interesse delle proprie comunità”. E però nel Pd c’è preoccupazione: si valutano due spinte uguali e contrarie. Da un lato, elemento che potrebbe andare a favore dei dem, l’onda lunga del caso Toti, ex governatore dimessosi dopo il deflagrare della vicenda giudiziaria; dall’altro, elemento a sfavore, il fatto che Bucci a Genova sia molto amato, a livello di governo della città e per la vicenda umana (e Genova nell’urna pesa). “Se ci aggiungi il fatto che l’uscita di Renzi, dopo il veto di Conte, sia avvenuta a poche ore dalla presentazione delle liste”, dice un deputato dem, “un risultato non positivo getterebbe un’ombra sui rapporti di forza Pd-M5s”. Ecco: si sta come d’autunno sulla soglia di Genova, stando a vedere, ma pronti a scattare (alla giugulare di Schlein, più che del candidato Orlando, la cui sorte, in caso di non vittoria, è ancora oggetto di dibattito interno).


Di più su questi argomenti:

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

Leave a comment

Your email address will not be published.