Il buon governo e le tasse. Michele Serra vs Helvétius

Non è l’essere contrari alle tasse che significa essere contrari agli altri. È l’essere contrari alla ricchezza

Leggo e amo Michele Serra da che ho memoria, quindi ieri quasi venivo convinto dalla sua argomentazione a margine della manovra: se uno si dice contrario alle tasse, vuol dire che è contrario agli altri. Senza tasse, è il sottinteso, non ci saremmo noi insegnanti, non ci sarebbero ospedali, non ci sarebbe il Parlamento, non ci sarebbe insomma la sfera del pubblico. Immaginate però di vivere in uno Stato ideale dalle casse talmente traboccanti (che so, per la vendita di una materia prima, oppure dotato del patrimonio infinito di un sovrano da favola) che garantisca tutti questi servizi gratuitamente; in quel caso, essere contrari alle tasse significherebbe essere contrario agli altri? Certamente no, poiché la sfera pubblica verrebbe preservata indenne e le eventuali tasse sarebbero ricondotte a sopruso medievale, atto di vassallaggio per umiliarsi dinanzi a un potere superiore. Oltre a Michele Serra, leggo e amo anche gli illuministi, pertanto ricordo come Helvétius distinguesse unicamente due tipi possibili di governo: quello buono, che rende i cittadini più ricchi, e quello cattivo, che li rende più poveri. Non è pertanto l’essere contrari alle tasse che significa essere contrari agli altri. È l’essere contrari alla ricchezza.

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