Trump, senza vergogna, punta a dissolvere l’impero americano

La teoria del complotto secondo la quale il deep state che devia uragani. La musica al posto del dibattito politico. Impensabile ma pensabile è che un formidabile condannato per reati infamanti, un incitatore paragolpista possa vincere di un’incollatura a novembre

Una deputata del circolo trumpiano ha insinuato apertamente che il deep state ha deciso il percorso degli uragani Helene e Milton per scopi politici. Quando il buon Tim Walz, vice di Kamala Harris, ha detto che quei tipi della Maga erano “strambi”, non poteva immaginare fino a che punto. A fine estate, per i democratici sembrava cosa fatta. Gioiose adunate, sondaggi in crescita, una coppia adulta contro un vecchietto bizzoso e patologicamente autoriferito del quale si poteva dire che è sì un delinquente, è sì un pericolo per la Costituzione americana, è certamente quel che dice il suo ex capo di stato maggiore Mark Milley, cioè “un fascista puro”, ma alla fine è anche un tipo fondamentalmente buffo o ridicolo. Succede però che nella politica in genere, in quella americana oggi in particolare, ciascuno ha diritto alle contromisure. Così, in un clima totalmente svergognato, in cui un candidato al Senato dei repubblicani è stato beccato a fare l’elogio della schiavitù su un sito porno, Trump ha fatto qualcosa che Berlusconi, del cui modello politico (anticipato di decenni) è una imitazione kolossal, ma in una versione truce, non si sarebbe mai sognato di fare, tra doppiopetti e “mi consenta”. Ha cancellato un pretenzioso dibattito con il pubblico, il famoso format town hall, mandando in audio una compilation di musica commerciale e popolare, e lo ha fatto tirandola in lungo per mezz’ora e ballando sul palco in piena campagna elettorale. Aveva accusato il colpo quando gli avevano dato del pazzotico ma ha risposto nel suo stile migliore e peggiore, confermando tutto senza appunto alcuna vergogna. Al deep state che muove e controlla gli uragani è stato opposto il music hall state. E tanti saluti al midwesterner Walz che lo aveva sbeffeggiato. Il messaggio è il classico “c’è chi può e chi non può, e io può”.

Se io mando musica e batto il ritmo, con la svalutazione senza ritegno della parola civica e del discorso pubblico e in pubblico, dicendo “chi se ne frega di tutte queste domande” in faccia alla comunità riunita, l’attenzione si concentrerà su idee, programmi e curriculum del mio oppositore presidenziale, ma l’attenzione è materia scarsa ormai e la candidata Harris, come attenzionata, è una che sta parecchio sul vago e indulge, come dicono gli osservatori meno benevoli, nella offerta di “word salade”, insalate di parole. Saul Bellow in “Herzog” esprimeva la sua mirabile misoginia letteraria imputando a una categoria di femmine, in genere quelle che lo mollavano con le sue trasgressioni, il vizio di “bere sangue e mangiare insalata”. E qui la faccenda potrebbe farsi penosa. Impensabile ma pensabile è che un tizio strambo, un formidabile condannato per reati infamanti, un incitatore paragolpista che torna a minacciare il rigetto dei risultati in caso a lui sfavorevole, dopo il 6 gennaio cornuto del 2021, possa vincere di un’incollatura a novembre, e magari impreziosire il tutto con la conquista di Senato e Camera bassa, a ulteriore corredo di una Corte suprema non ostile, per così dire. Le conseguenze eventuali sono già anticipate dagli incubi delle classi dirigenti mondiali, che osservano con sconcerto, un incubo, la guerra in Europa e l’esplosione del Grande medio oriente con la lente di ingrandimento di un paese cruciale alla deriva. Il sulfureo Giulio Tremonti ha detto di recente che il grande equivoco strategico del nostro tempo è stato la distruzione degli stati e dei regimi come la Libia o l’Iraq o l’Afghanistan, ma Robert D. Kaplan aveva spiegato invece che il peggio del marasma attuale non deriva dalla crisi degli stati nazione ma dalla dissoluzione degli imperi, che trovavano le linee di equilibrio poi scomparse nell’evanescenza della grande politica e della vergogna. Ecco.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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