I tic della sinistra spiegati con gli assessori di Livorno e Bari

In Toscana scarica Lenzi per le critiche a una statua, in Puglia nomina Grasso sebbene neghi la Xylella. Il progressismo correttivo punisce la libertà di parola e premia la libertà di biologia

In questo periodo due città, Livorno e Bari, o meglio le vicende che riguardano due assessori di queste città, mostrano la confusione intellettuale della sinistra. Un problema psicanalitico prima che politico. A Livorno l’assessore alla Cultura è stato costretto alle dimissioni, travolto dalle polemiche sui social networke dagli attacchi ricevuti dal M5s e da frange del movimento Lgbt. Eppure Simone Lenzi non è un seguace del generale Vannacci, ma uno scrittore (“La generazione”, Dalai) e cantautore (frontman dei Virginiana Miller) libertario e di sinistra che, come tanti livornesi, spesso dice la sua in modo diretto.

La colpa di Lenzi, che era assessore della giunta Salvetti da cinque anni, è stata quella di attaccare in maniera veemente una vignetta “provocatoria” (usiamo un linguaggio quanto più neutro possibile) sul massacro di Hamas in Israele pubblicata dal Fatto quotidiano e intitolata “La favola del sette ottobre”. La reazione a una serie di vignette da lui ritenute antisemite, non è stata affatto gentile: Lenzi ha definito “la fogna del Fatto” un “laboratorio di abiezione morale, allevamento di trogloditi, verminaio del nulla”. Ma non ha pagato per questo.

Dopo il suo attacco, come spesso accade, sono stati passati al setaccio i suoi social ed è stato punito con una sorta di linciaggio pubblico con l’accusa di “omofobia” per un vecchio post in cui criticava una statua di un corpo umano con un membro maschile e sotto la scritta “donna”: “Alla Biennale di Venezia ci tengono a farci sapere che la donna quintessenziale ha la minchia. E no, non è che siamo borghesi scandalizzati. Siamo borghesi annoiati a morte da questo lavaggio del cervello, da questa prevedibilità, da questa predica continua”.

Lenzi ha chiesto scusa a chi si è sentito offeso, tentando di spiegare che le sue parole erano contro l’arte didascalica e propagandistica, ma non è servito: ha ricevuto una condanna per direttissima per “transfobia” dal tribunale dei social, è stato immediatamente scaricato dal suo sindaco e, pertanto, si è dovuto dimettere.

Pochi giorni dopo, circa 800 chilometri più a sud, il sindaco progressista di Bari Vito Leccese ha nominato assessore alla Legalità il grillino Nicola Grasso. L’esponente del M5s è stato per anni il punto di riferimento del movimento negazionista della Xylella: da professore di diritto è stato protagonista dei ricorsi che hanno bloccato il piano di contenimento del batterio e che, oggettivamente, hanno favorito l’espansione dell’epidemia che ha seccato decine di milioni di ulivi salentini e minaccia di distruggere l’intera olivicoltura pugliese e nazionale.

In varie manifestazioni Grasso ha parlato di “presunta malattia delle piante”, negando il nesso di causa-effetto tra batterio e disseccamento degli ulivi: “Qui non si nega né l’esistenza di Xylella né di alberi secchi, si cerca di capire se tutti gli alberi secchi hanno la Xylella e se è colpa di Xylella”. Per il neo assessore barese, che si paragona a Galileo Galilei, la comunità scientifica si sbaglia: la Xylella non è una malattia ma un complotto: un “cavallo di Troia” per realizzare “un disegno” di ricercatori e agroindustria per estirpare i vecchi ulivi sostituirli con un sistema di produzione superintensivo.

Pertanto, per sventare questo complotto di scienziati e poteri forti, Grasso suggeriva di non estirpare gli ulivi malati: “Aspettiamo alcuni anni”, diceva. Ora sono seccati tutti, a decine di milioni. E nel frattempo il batterio è arrivato alle porte di Bari, città di cui Grasso è appena diventato assessore. C’è stata qualche polemica, ma a sinistra tutti – a partire dal Pd – sono soddisfatti per l’ingresso in giunta del giurista.

Ma se a sinistra è diventato indecoroso e reazionario per un assessore sostenere che le donne generalmente non sono portatrici del membro maschile, mentre è accettabile e progressista negare la pericolosità di un patogeno da quarantena come la Xylella, allora il problema non è la linea politica: è la linea biologica.

Di più su questi argomenti:

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

Leave a comment

Your email address will not be published.