Manovra, tassi e tasse. Cosa cambia per le banche nella nuova stagione

Il governo Meloni e l’Abi potrebbero trovare un accordo sul famigerato “contributo” degli istituti di credito alla legge di bilancio. Palazzo Chigi punta a ottenere un contributo di 3-4 miliardi

A volte le coincidenze. Nel giorno in cui un’indagine della Bce fa sapere che il taglio dei tassi inciderà sulla redditività delle banche dell’Eurozona, anzi che l’impatto si sta cominciando già a far sentire, il governo Meloni e l’Abi potrebbero trovare un accordo sul famigerato “contributo” degli istituti di credito alla legge di bilancio per il 2025 che sarà approvata a stretto giro prima di essere inviata a Bruxelles. Per quanto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia ribadito il no a nuove tasse, il tavolo con le banche è aperto “a oltranza” al Mef e l’ipotesi del rinvio della deducibilità delle così dette Dta (imposte differite) ha preso corpo in queste ore come probabile compromesso. Palazzo Chigi punta a ottenere un contributo di 3-4 miliardi attraverso una partita di giro contabile considerata accettabile dal fronte bancario poiché il danno sarebbe tutto sommato limitato rispetto a un vero nuovo prelievo fiscale.

Lo spiega bene un’analisi di Equita: “Una manovra di questo tipo – dice – avrebbe principalmente l’effetto di una minore generazione di capitale da parte delle banche a seguito dell’utilizzo di un minore stock di Dta in compensazione dei crediti generati. Non ci aspettiamo impatti particolarmente rilevanti sul settore”. Insomma, con questa soluzione, che poi è stata fin dall’inizio caldeggiata dall’Abi guidata da Antonio Patuelli, si potrebbero salvare capre e cavoli: il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, potrà dire di non essersi rimangiato la parola e di avere effettivamente chiesto sacrifici a tutti, non solo a famiglie e imprese, e le banche potranno vantare di avere fatto la loro parte senza, però, mettere a rischio i bilanci.

Di più non trapela sul delicato confronto in corso che vuole evitare lo sfacelo dello scorso anno quando il governo annunciò minaccioso la tassa sugli extra profitti delle banche salvo poi trasformarla in una sorta di accantonamento patrimoniale che ha finito per rafforzare le banche stesse. Dal canto suo, l’Abi a settembre, quando il tema manovra economica stava diventando caldo, ha dato un segnale di apertura, ma poi Patuelli aveva fortemente contestato il concetto di extra profitti sul quale Palazzo Chigi continuava ad insistere inaugurando una fase di freddezza tra le parti che poi è stata superata dal tavolo voluto da Giorgetti.

La verità, comunque, è nei numeri: lo scorso anno le banche italiane hanno totalizzato quasi 50 miliardi di utili, grazie anche alle particolari condizioni di mercato dovute all’elevato costo del denaro. Condizioni che solo adesso stanno cominciando a cambiare per cui è molto probabile che i profitti bancari del 2025 saranno anche più elevati di quelli del 2024, come si può anche intuire dai conti del primo semestre. La coda lunga della politica monetaria restrittiva della Bce ha, infatti, avuto come effetto di aggiungere un secondo anno d’oro per le banche europee e italiane. Ma questa stagione sta tramontando. A dirla con i populisti, la festa è finita, a dirla con la Bce, ci sarà un fisiologico peggioramento.

“Le banche dell’area dell’euro hanno segnalato il primo impatto negativo delle decisioni sui tassi di interesse sui loro margini di interesse netti dalla fine del 2022”, è scritto nello studio dell’Eurotower in cui si evidenzia come l’impatto netto negativo sui margini associato alla politica monetaria “si accentuerà e si tradurrà in un calo della redditività complessiva rispetto agli alti livelli raggiunti durante il ciclo di inasprimento”. Ciclo i cui effetti positivi sull’attività bancaria si sono prolungati anche a quasi tutto quest’anno.

Ma l’inversione di marcia dell’Eurotower è già in atto, dopo il primo taglio dei tassi a giugno ce n’è stato un secondo a settembre, nella riunione di domani se ne prevede un terzo e le previsioni di mercato ne stimano un quarto a dicembre. E’ chiaro che gli effetti sul calo della profittabilità si vedranno nel prossimo esercizio e non in quello in corso dal quale dovrebbe arrivare il famigerato “contributo” alla manovra economica del governo. Quella che sta per iniziare per le banche è una nuova stagione in cui i tassi d’interesse dovrebbero avvicinarsi intorno al 2 per cento e i profitti saranno determinati dalla capacità gestionale. Difficile che il prossimo anno le banche si siedano allo stesso tavolo del Mef.

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