Fratelli depressi: Giorgia Meloni è stanca, Arianna sbuffa, Giuli è un caso, alle truppe manca Lollobrigida

Distrazioni, sospetti e guerre interne animano Fratelli d’Italia. Tutti contro tutti fra veleni e cortocircuiti. Il nuovo capo di gabinetto del ministero della Cultura colpito dal fuoco amico

Arianna Meloni sbuffa e mastica aria di “depressione politica” in Via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia. La sorella premier, Giorgia Meloni, si dice “stanca” e “delusa” da truppe e colonnelli, in privato, e poi in pubblico, certo, se la prende con un certo clima che produce dossieraggi. Francesco Lollobrigida, potente ministro che fu cognato d’Italia e che ora non lo è più, ammette con gli amici “che non ci sarà alcuna fase due” e che “gestire le emergenze tutti i giorni inizia a essere un esercizio sfiancante per l’intera squadra”. Il ministro Alessandro Giuli, ultimo arrivato nella compagnia, è perplesso sul “fuoco amico” intorno al nuovo capo di gabinetto Francesco Spano, che sostituisce Francesco Gilioli, accusato di passare documenti ai giornalisti, ma difeso dai vertici del Senato, come per esempio Ignazio La Russa.



La nomina di Spano voluta da Giuli racconta due cose. Una piccola e una più grande, di sistema. La prima è che nel 2017 Giorgia Meloni affermò che “le tasse degli italiani non potevano essere buttate per pagare lo stipendio di Spano” all’epoca direttore dell’Unar (l’Ufficio contro le discriminazioni di Palazzo Chigi) per dei finanziamenti alle associazioni lgbt e che nonostante questo all’ex giornalista importi il giusto se si tratta di scegliere persone di cui si fida.



La seconda è che l’autonomia del neo ministro della Cultura, venuto dai giornali e dai libri più che dal partito, non sia andata giù a Palazzo Chigi dove questi tipi di nomine, soprattutto se riguardano un esponente in quota Fratelli d’Italia, devono essere bollinate, per prassi politica non scritta, da Giovanbattista Fazzolari e da Alfredo Mantovano, sottosegretari alla presidenza del Consiglio e motori di tutto.

Siamo dunque a ricostruzioni, sbuffi e cattivi pensieri. Fatto sta che pure Spano sembra avere il tempo contato. “Ha il timer”, dicono dalle parti del Collegio Romano, Fossa delle Marianne del governo dopo il caso Boccia–Sangiuliano.

A creare attrito non è tanto il dibattito ideologico sul nuovo mandarino – sulla cui testa pende una raccolta firme delle associazioni Pro Vita per farlo sloggiare arrivata in 24 ore a 15 mila adesioni – ma il veleno, piccolo e grande, che circola nelle articolazioni più importanti di Fratelli d’Italia. La premier tutti i giorni confessa di essere “stanca” e “delusa” e di, gratta gratta, non potersi fidare di quasi nessuno. Per questo oggi in occasione delle comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio europeo dovrebbe parlarne anche con il capogruppo a Montecitorio Tommaso Foti. Non tanto, o meglio non solo, per la storia delle chat interne rivelate da alcuni quotidiani alla vigilia del voto per il giudice della Corte costituzionale (andata a vuoto). Ma per un certo andazzo, per la mancanza di consapevolezza che sembra riguardare chi ricopre ruoli di responsabilità nel tunnel invisibile che collega Via della Scrofa con Palazzo Chigi. Sul fronte parlamentare, per esempio, c’è un pezzo di Fratelli d’Italia che rimpiange Francesco Lollobrigida, la gestione ordinata e sotterranea che aveva dei gruppi e nei rapporti indicibili con le opposizioni al momento di tentare il colpaccio (tipo l’elezione di La Russa al Senato con i voti sparsi, ma ben contati, di Italia viva, M5s e forse Pd). Siamo davvero a questo clima di depressione, tra pubblico e privato, tipo canzone di Cesare Cremonini, rivista e corretta, in da “quando Lollo non gioca più…”? “Aria strana”, dicono i parlamentari di Fratelli d’Italia della vecchia guardia, quelli che provengono dal Grande raccordo anulare e quindi si irradiano della luce del melonismo puro. Difficile mettere in fila i pezzi se vanno in onda queste scene da tutti contro tutti. Se molti parlamentari e dirigenti di peso si confessano con i cronisti per attaccare La Russa, Seconda carica dello stato e big del partito, accusato platealmente da Matteo Renzi di aver cercato una senatrice di Iv (Dafne Musolino da Messina) per chiederle di votare il giudice della Consulta scelto dal centrodestra (Francesco Marini, blitz fallito, come si sa). Discreto caos, non c’è che dire. Se si aggiunge, giusto per esercizio di cronaca da registrare, anche la posizione di Guido Crosetto, ministro della Difesa in trincea, che fra smentite di rito e retroscena, viene descritto sospettoso in generale e poco aiutato dall’ambiente del suo partito che ora sta al governo e che non capisce fino in fondo lo stato delle cose quando si parla di dossier, spioni e, forse, pezzi di servizi segreti. Bisogna dunque ritornare alle sorelle d’Italia che sbuffano, masticano amaro, scuotano la testa, sognano nei momenti di massimo scoramento un “vaffa-day” che mai per esercizio di responsabilità e realismo politico andrà in scena. Arianna e Giorgia Meloni, vedette del partito e del governo. Non resta che cercare di immaginare uno spazio ricreativo per uscire dall’impasse: Atreju che, come annunciato da questo giornale, si svolgerà a dicembre al Circo Massimo. Ma prima, certo, bisogna arrivarci.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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