Il debito eterno contratto nei confronti degli ebrei e della loro storia

Dal 1944 due celebri intellettuali russi particolarmente sensibili alla tragedia degli ebrei, Vasilij Grossman e Il’ja Ehrenburg, pensarono valesse la pena documentarla e raccontarla fin nei dettagli. Nasce così “Il libro nero”

Se è vero che il culmine quantitativo e qualitativo della violenza politica nel Novecento è stato toccato durante i mesi in cui i nazisti tedeschi si avventarono sulle centinaia e centinaia di migliaia di ebrei che vivevano nell’Urss degli anni Trenta, il paese contro cui il 22 giugno 1941 erano montate all’assalto 170 divisioni dell’esercito il più poderoso al mondo, ne viene che il libro di cui mi accingo a parlarvi (Il libro nero, prima edizione italiana, Mondadori 1999) e di cui io stesso non sapevo nulla fino a poco tempo fa è il libro da cui trabocca drammaticità più che in qualsiasi altro libro del secolo corso. Beninteso è all’Urss bolscevica che Hitler aveva dichiarato guerra, non a una fetta seppure ingente della sua popolazione. Solo che nel suo sistema di pensiero la lotta all’ultimo sangue al comunismo sovietico e le intenzioni stragiste nei confronti degli ebrei in quanto tali facevano tutt’uno. Uccidere il più possibile di ebrei sovietici, questo il suo credo e il suo piano, sarebbe stato un ferire a morte il comunismo e le sue possibilità di ascesa nel mondo. Ai suoi occhi non c’era una garanzia migliore ad assicurare alla Germania una supremazia assoluta nel gioco delle genti e delle nazioni. E’ nel corso di quei dannati mesi dal 1941 al 1944 che l’umanità ha contratto una sorta di debito e per sempre nei confronti degli ebrei e della loro storia.

Solo che dopo l’inferno di Stalingrado il corso della guerra in Urss cambiò direzione, sconfitti gli assassini cominciarono a retrocedere e a loro volta ne vennero fatti prigionieri a milioni dai russi. Nell’aula di Norimbega o in quella israeliana dove anni più tardi venne giudicato Adolf Eichmann gli assassini dovettero render conto fin nei dettagli del loro operato, di come avessero massacrato donne incinte, di come avessero fracassato il cranio di bambini di due o tre anni scaraventandoli contro i muri delle celle, di come avessero bruciato case con dentro intere famiglie ebree, di come avessero preso la mira e sparato uno dopo l’altro a uomini e donne ebrei nudi che in piedi aspettavano la morte sul bordo di enormi fossati che loro stessi erano stati costretti a scavare, di come avessero poi seppellito assieme tanto quelli che erano morti tanto quelli che erano ancora vivi pur dopo le raffiche di mitra e di mitragliatrici e i cui lamenti laceranti continuavano per tutta la notte, di quella ragazza ebrea che ebbe il coraggio di sputare in faccia a un ufficiale delle SS che la stava vessando e che subito la uccise con un colpo di pistola.

Una e talmente inimmaginabile epopea che fin dal 1944 due celebri intellettuali russi particolarmente sensibili alla tragedia degli ebrei, Vasilij Grossman e Il’ja Ehrenburg, pensarono valesse la pena documentare e raccontare fin nei dettagli. Avvalendosi innanzitutto delle testimonianze dei sopravvissuti, di quelli che erano lì accanto agli uomini e alle donne ebree un attimo prima che fossero straziati, ma anche di soldati e ufficiali tedeschi che erano stati fatti prigionieri e che nei tribunali sovietici non potevano fare a meno di raccontare le cose per come erano andate davvero: loro che avevano avuto addosso lo sguardo delle vittime un attimo prima di chiudere la loro vita.

E qui le cose si complicano all’inverosimile, nel senso che la vicenda editoriale del libro in Urss aggiunge drammaticità a drammaticità e questo perché i comunisti sovietici non hanno nessuna voglia di dare risalto a un libro che ai loro occhi rischia di far passare gli ebrei come il bersaglio preferito dei nazi che avevano aggredito l’Urss. Gli ebrei, non i comunisti. Quasi che i nazi avessero scelto di affondare il loro coltello nella carne viva della società sovietica pur di andare contro gli ebrei e innanzitutto per questo.

I testi inizialmente raccolti o preparati da Grossman e Ehrenburg vengono perciò soppesati parola per parola, cancellati i riferimenti alla specificità della persecuzione subita dagli ebrei che vivevano in Russia. Vengono opposti dubbi su dubbi, vengono richieste verifiche su verifiche da commissioni di “censori” che si succedono una dopo l’altra. Nel loro giudizio il libro è un’esaltazione del “nazionalismo” ebraico, il che non va bene per niente. Il Comitato centrale del Pcus sancisce che il libro è fuori dai giusti binari. A farla in breve decidono che il libro non vada pubblicato in Urss, niente di meno che questo. Miracolosamente i materiali raccolti per la confezione del libro vennero confiscati ma non distrutti. Copie dell’edizione mondadoriana del 1999 le trovate su internet a un prezzo attorno ai 100 euro. Con un particolare non da poco. Che quelli che editorialmente avevano curato inizialmente il libro vengono messi sotto processo, accusati di “nazionalismo” ebraico e quindici di loro condannati a morte. La prima edizione americana, in due volumi, venne pubblicata tra il 1944 e il 1945. Copie di questa edizione furono spedite al mandato britannico della Palestina, l’odierno Israele. La prima edizione in lingua russa viene pubblicata nel 1980 a Gerusalemme e una seconda nel 1991 a Kiev, la città dove era stata strabocchevole la violenza perpetrata dai nazi contro gli ebrei e che è oggi al centro dei ragguagli giornalistici sulla guerra che i russi stanno combattendo contro gli ucraini. Una guerra diversa da quella del 1941-1944 ma pur sempre atroce.

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