No: il metodo dei dossier non è l’eccezione del nostro sistema giudiziario

La pesca a strascico è la regola, non l’eccezione, del nostro sistema giudiziario. Andare oltre Crosetto per capire l’Italia dei dossieraggi infiniti

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ieri è stato ascoltato dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, per offrire ulteriori approfondimenti su uno scandalo che continua a far discutere per le ragioni sbagliate. Lo scandalo in questione è quello che riguarda una storia che ormai tutti conoscono. Due anni fa, Crosetto ha presentato un esposto alla procura di Roma, in seguito a un articolo del quotidiano Domani che conteneva dati sensibili del ministro della Difesa. Una volta conclusi i primi accertamenti, è risultato chiaro che quei dati sensibili erano stati estrapolati attraverso una cosiddetta attività “Sos”, segnalazioni di operazioni sospette. Una volta scoperto che ad avere la responsabilità dell’estrapolazione di quei dati era anche un magistrato, l’indagine passa da Roma a Perugia, che è la procura competente per i reati che coinvolgono i magistrati in servizio nella capitale.

Con il passare del tempo si scopre che le attenzioni riservate a Crosetto non riguardano solo Crosetto ma riguardano numerosi soggetti attenzionati in modo discrezionale. Secondo una ricostruzione della procura di Perugia, dagli archivi della Direzione nazionale antimafia (Dna) e da altre banche dati riservate e collegate, i soggetti responsabili dell’estrapolazione delle Sos avrebbero scaricato oltre 200 mila documenti in due anni, fra il 2019 e il 2020. A questo numero vanno aggiunti 30 mila documenti del biennio successivo, avvenuti dietro lo scudo della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, ha definito questi accessi “non autorizzati e quindi abusivi”, aggiungendo, in un’audizione alla commissione antimafia, che “i numeri sono molto più preoccupanti di quelli che sono emersi” e che in effetti “si tratta di numeri inquietanti, davvero mostruosi”. Il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, arrivato alla Dna dopo i fatti contestati, ha ammesso che i fatti in questione sono “estremamente gravi”, ha detto che i fatti emersi “paiono difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale”, ha detto che vi sono “molti elementi che confliggono con l’idea di un’azione concepita e organizzata da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele”. Questi i fatti finora.

Fatti a cui va aggiunta la ragione per cui ieri Crosetto è stato audito dal Copasir: il ministro, sentito in procura a Perugia, ha detto a Raffaele Cantone di avere rapporti “non particolarmente buoni con l’Aise”, i servizi segreti interni, e a loro aveva contestato “in più di un’occasione mancate informazioni che avrebbero potuto anche creare problemi alla sicurezza nazionale”. La storia è evidentemente densa, succosa, ricca di sfumature e può essere studiata attraverso tre chiavi di lettura diverse. Le prime due sono quelle più note. Primo punto: esiste o no una regia che ha spinto funzionari di stato zelanti a utilizzare con modalità “mostruose” il sistema delle Sos per costruire sistematici dossieraggi? Secondo punto: esiste o no nella maggioranza la consapevolezza che le accuse di Crosetto, ieri calibrate davanti al Copasir, costringono la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a dover scegliere da che parte stare, a considerare cioè le accuse di Crosetto infondate, e dunque molto gravi per Crosetto, o viceversa a considerare le accuse di Crosetto veritiere, e dunque molto gravi per i servizi italiani? La terza chiave di lettura, quella meno raccontata, riguarda un punto difficile da inquadrare, che però è il vero elemento centrale della storia dei presunti dossieraggi.


La scandalo del caso Crosetto non è la presenza di una presunta centrale del controspionaggio, tutta da verificare, ma è l’indifferenza assoluta con cui l’opinione pubblica osserva un fenomeno ben più grave: la pesca a strascico come regola, e non come eccezione, del nostro sistema giudiziario, del nostro stato di diritto. In questo senso, per ragionare intorno al caso del dossieraggio su Crosetto non è necessario aspettare una risposta, che probabilmente non arriverà mai, sulla possibilità o meno che quegli accessi abusivi siano stati effettuati su sollecitazione di una regia esterna. Quello che già oggi si può dire con ragionevole certezza, e senza paura di essere smentiti, è che il metodo utilizzato contro Crosetto non riguarda casi straordinari ma riguarda casi drammaticamente ordinari, che emergono con frequenza inquietante nell’ambito di infinite indagini preliminari. Il metodo funziona così. Trova un modo per entrare, per via giudiziaria, nella vita degli altri. Una volta avuto accesso all’intimità della persona che hai scelto di attenzionare raccogli più materiale possibile, senza curarti troppo dal fatto che questo materiale sia rilevante o irrilevante dal punto di vista penale.

Una volta creato il tuo dossier prova a capire se pescando nella vita degli altri hai la possibilità di trovare qualcosa di compromettente. Se poi gli elementi compromettenti non sono sufficienti per dimostrare il reato da cui sei partito prova a cercarne un altro. Se la ricerca non è andata a buon fine neppure per un altro tipo di reato nel migliore dei casi archivi tutto. Nel peggiore dei casi cerchi di dimostrare il tuo teorema utilizzando le irrilevanti informazioni raccolte, anche se non avresti potuto farlo, per offrire ai giornalisti elementi utili per rafforzare la tua azione giudiziaria con i riflettori del processo mediatico, sapendo che i giornalisti pubblicheranno tutto non essendoci sanzioni tali da disincentivare la divulgazione di informazioni che non potrebbero essere diffuse (il governo di cui fa parte Guido Crosetto ha cercato di limitare l’utilizzo delle intercettazioni penalmente irrilevanti, ma all’ultimo miglio ha commesso un pasticcio: piuttosto che ridurre la possibilità di usarle l’ha aumentata, estendendo le regole delle intercettazioni per i reati di mafia anche ai reati comuni aggravati dal metodo mafioso). In attesa di capire se dietro i numeri “mostruosi” degli accessi denunciati da Crosetto vi sia o no una regia, una certezza già oggi c’è. Non è sconvolgente solo il fatto che vi sia stato qualcuno che abbia avuto una certa disinvoltura nel fare ricerche nelle vite degli altri. E’ sconvolgente che l’opinione pubblica non capisca fino in fondo che il metodo denunciato da Crosetto è il metodo che muove gli ingranaggi del circo mediatico: accedere alla vita degli altri in modo abusivo, a strascico, per cercare qualcosa, qualsiasi cosa, guidati dalla volontà più di incastrare qualcuno che di fare giustizia.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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