Gaetano Pesce e il monumento a Pulcinella tra incomprensioni e doppi sensi

Le intenzioni dell’artista da poco scomparso erano chiare: rendere omaggio a Napoli realizzando in Piazza Municipio un’installazione dedicata a Pulcinella

Trovo commovente la dedizione con cui i giornali hanno cercato di dire che, nonostante il fiorire di doppi sensi sui social, Gaetano Pesce non aveva cattive intenzioni, non ci aveva pensato, insomma non gli era sovvenuto che il suo monumento a Pulcinella, da poco esposto a Napoli, somigliasse a un enorme, drittissimo pene (con tanto di cappuccetto).

Pesce purtroppo è morto da qualche mese, quindi non può essere raggiunto per un’intervista in cui si spieghi e fughi i sospetti, o magari rivendichi la goliardata ammantandola di soverchie implicazioni antropologiche (il fallo apotropaico, eccetera) e sociologiche (il patriarcato, eccetera). Ci si può affidare tutt’ al più a Pulcinella, il quale non esiste ma costituisce un punto fermo ben definito nell’immaginario partenopeo e italiano; al punto che l’immortale Luigi Serafini, nella “Pulcinellopaedia”, lo ritrae mentre dorme, sogna e dal suo basso ventre s’innalza un albero allusivo e metafisico, più che degno del tronco di Iesse. Altrimenti, per scrutare le intenzioni dietro alla nuova scultura che decora Napoli, ci si può affidare all’ermeneutica, scartabellando fra gli infiniti nomi che colloquialmente il popolo attribuisce a quel coso lì. Ebbene, ciò a cui Belli dava il nome di pezzo de carne, manico, scetrolo, asperge, cresscimmano, stennarello, non ci vuole chissà quale scavo antropologico, a Napoli lo chiamano come il suo autore. Pesce.

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