Giger è morto ma Alien vive

Dal 5 ottobre al Mastio della Cittadella di Torino si apre una mostra tutta dedicata al pittore svizzero vincitore dell’Oscar ai migliori effetti speciali nel 1980 per la creazione dello xenomorfo

H. R. Giger è morto dieci anni fa. Aveva 74 anni, e un museo tutto suo. Fu inaugurato a giugno del 1998 nello Château St. Germain, che domina la città fortificata di Gruyère, in Svizzera: Giger era nato a Coira nel 1944. A 22 anni si era trasferito a Zurigo per studiare architettura e design industriale alla Scuola di Arti applicate.

Cominciamo a capire come mai la creatura aliena – uno xenomorfo, con lo scheletro all’esterno – e anche la navicella spaziale, per non dire delle strutture tecnologiche in rovina, grondano liquidi. Organici e no, qualcosa sembra olio per motori. Parlava di stile “biomeccanico” – evidentemente stufo della definizione neo-gotico (non era neppure la peggiore).

H. R. Giger è morto ma la sua creatura vive. Alien era un nome proprio, ma è scivolato verso il nome comune, ogni film della saga aggiunge un numero o una specifica. L’ultimo nelle sale è “Alien: Romulus”. E ricordate lo smarrimento, quando scoprimmo che Alien era femmina, molto affezionata ai suoi cuccioli con bave e dentini?

Oggi, sabato 5 ottobre, al Mastio della Cittadella di Torino si apre una mostra tutta dedicata a H. R. Giger. Settanta pezzi originali tra dipinti, sculture, disegni, e video provenienti dal Museo Giger di Gruyère. Sarà aperta fino al 16 febbraio 2025, e ricorda che H. R. stanno per Hans Ruedi. La più grande collezione vista in Italia, per chi non si era già affrettato verso il museo, o magari ha preso un biglietto per Tokio, dove esiste un Giger Bar interamente progettato dal giovanotto – allora quasi cinquantenne – di Coira.

Lì per la prima volta sono state esposte le scultura, in un ambiente “all Giger”. Da lì provengono i pezzi che hanno girato il mondo: Parigi, Istanbul, Vienna e Varsavia. Nel museo sono collocate assieme alle opere degli artisti che Giger collezionava, a cominciare dal prediletto Salvador Dalí.

Lo splendido catalogo della mostra, riccamente illustrato, affascinerà anche i non fanatici di “Alien”. Riproduce, dopo le introduzioni di rito, i pezzi in esposizione. Apre una sorta di Medusa, ma la chioma e il giardino di corna sembrano di natura organica. Poi ci sono i modellini ispirati al “Necronomicon”, testo che non smette di affascinare, dopo Lovecraft. Piastrelle, o forse un pavimento, arabescato finemente: ma non trasmette quiete e tranquillità.

Non poteva mancare la citazione di H. P. Lovecraft: “Il più antico sentimento è la paura, e la paura più grande è il terrore dell’ignoto”. Sulla pagina di fronte, il disegno di una pistola, in sezione. Al posto dei proiettili, omini accovacciati con gli occhiali da saldatore, pronti per essere caricati e sparati fuori. C’è un Baby Alien e un fantastico bar dove nessuno ha la testa sulle spalle: chi un bicchiere chi un’arma, chi un sacchetto.

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