Zanda: “Liguria? Le alleanze del Pd non può deciderle Conte”

Dopo il veto imposto in Liguria dal M5s al Pd sui renziani l’ex senatore è preoccupato: “Schlein vuole trasformare il Pd in un movimento?”

Senatore Zanda, Renzi sì o Renzi no? Conte ha imposto al Pd di escludere la lista renziana in Liguria. Schlein dice che non se ne occupa. State subendo le scelte del M5s? “Renzi ha le sue responsabilità politiche che sono tante, ma non può e non deve essere Giuseppe Conte a decidere le alleanze del Pd. Il fatto è che il capo del M5s, che ora pretende di dettare la linea, ha il litigio molto, molto facile”, dice Luigi Zanda, influente ex senatore del Pd. “Non solo con Renzi, ma anche con Calenda, Schlein e persino o con Beppe Grillo che vuole cacciare dal M5s, ha un solo grande amore: se stesso. C’è chi dice che subisca il fascino di Putin o di Trump, ma in realtà penso che la sua bussola sia solo quella del proprio successo personale. I suoi voti però diminuiscono a vista d’occhio… I fatti liguri però vanno considerati nel contesto”, prosegue l’ex senatore. “Se da una parte è vero che il sistema politico italiano vive di coalizioni tra partiti, è anche vero che mai come oggi, sia a destra sia a sinistra, abbiamo coalizioni che sopravvivono litigando, persino sulla politica estera che dovrebbe essere il collante più solido tra partiti che vogliono governare insieme. E così la debolezza del centrosinistra fa nascere diversi fronti di contrasto: non ultima anche la vicenda quasi comica della Rai”.

Non la preoccupano queste continue schermaglie? “Mi preoccupa di più un’altra cosa”. Ovvero? “Oggi la politica estera e di difesa è al centro del posizionamento politico dei partiti in tutte le democrazie del mondo, ed è proprio sui questo che tutte e due le coalizioni italiane, compresa quella di centrosinistra, mostrano la loro preoccupante assenza di leadership”. Schlein non fa abbastanza o ha subito troppo l’attivismo del M5s? “Il Pd – dice Zanda – ha vinto le europee con il 24 per cento e tra pochi mesi conquisterà tre regioni importanti, questi successi avvengano nonostante il partito nei suoi 17 anni abbia subito quattro scissioni – quelle lievi di Calenda e Rutelli, e quelle sanguinose di due ex segretari come Bersani e Renzi – e nonostante l’attuale segretaria sia stata eletta in modo anomalo, con un voto alle primarie diverso a quello degli iscritti, dopo essersi lei stessa iscritta poco prima delle primarie grazie a un cambio dello statuto fatto ad hoc. Per fortuna l’Italia vuole un partito di centrosinistra lo ha votato e lo voterà ancora. Il Pd è immortale. Il punto centrale però è che negli ultimi tempi si è accelerata la sua trasformazione da partito a movimento, dove conta solo il capo. Del Pd delle origini a parte il nome è rimasto ben poco, la forma partito che lo distingueva da tutte le altre forze politiche e lo mostrava davvero democratico è quasi sparita: non è stata riunita la direzione nemmeno prima del voto all’Europarlamento sull’Ucraina, con il risultato che a quella cruciale votazione i parlamentari del Pd hanno votato in modo sparpagliato. La mia domanda è: il Pd sta lasciando la forma partito e sta diventando un movimento?”. Lo teme? “Servirebbero ambizioni più alte: la prossima legislatura dovrà eleggere nuovo capo dello stato, con alleanze fragili come quelle che abbiamo è soltanto la forza del Pd che può garantire la linea”.

Schlein comunque lascia che i litigi si esplichino, tanto, ragiona, sarà la legge elettorale a tenere insieme la sua coalizione. Secondo Zanda una fiducia mal riposta. “Tutti quelli che si sono affidati alla legge elettorale – ricorda – sono rimasti delusi. Con il Porcellum, che Berlusconi fece fare a Calderoli, il PdL ha perso le elezioni. Più di recente il Pd ha perso con la legge che volle Renzi. Il sistema elettorale va cambiato con uno sguardo lungimirante e di lungo periodo, non guardando alle elezioni successive. In Italia, paese di colazioni dai tempi di De Gasperi, serve un proporzionale con una soglia di sbarramento alta, almeno il 5 per cento, in modo da rappresentare le diverse opinioni e combattere il frazionismo che ha sempre avuto effetti nefasti”. Lei comunque è convinto che in Emilia-Romagna, ma anche in Umbria e Liguria il centrosinistra vincerà? “Abbiamo tre candidati molto forti. A cominciare da Andrea Orlando che in Liguria è il meglio che c’è: un nome affidabile, credibile e serio”.

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