Un Mondiale di ciclismo da paradiso della bicicletta

Zurigo è diventata un modello di convivenza e di ciclabilità e il circuito iridato dà spazio alla fantasia. E forse non sarà solo una sfida tra Lotte Kopecky e Demi Vollering e tra Tadej Pogacar e Remco Evenepoel

Fa strano ammettere che potremmo essere già soddisfatti così, senza nemmeno dover aspettare di vedere cosa combineranno Lotte Kopecky, Demi Vollering, Elisa Longo Borghini e compagne, o Tadej Pogacar, Remco Evenepoel, Mathieu van der Poel e compagni. O almeno va così per noi ciclisti che continuiamo a muoverci per le strade italiane, alle prese con asfalti raffazzonati, strade piene di automobilisti menefreghisti della nostra esistenza e con la violenza verbale dei tanti Vittorio Feltri che godono a vederci sotto le gomme. Questa settimana lunga di Mondiali di ciclismo a Zurigo visti in televisione o lungo le strade, quella che si chiuderà domenica con la prova dei professionisti, ci ha messo davanti agli occhi l’evidenza che esistono anche città dove ci sono corsie ciclabili fatte bene, ampie piste ciclabili dove poter scorrere tranquillamente accanto agli stradoni trafficati. È piacevole vederlo. Anche se fa un po’ rabbia saperle vicine, ma non prossime, fuori dai confini nazionali, sebbene a solo a qualche centinaia di chilometri.

A volte, è successo, la corsa si è persa nel contorno, quasi fosse per noi incredibile quello che le telecamere inquadravano. Siamo mica messi bene se una cosa del genere accade.

Quando nel 2009 Corine Mauch era stata eletta per la prima volta sindaca di Zurigo aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per rendere la città un modello di convivenza tra chi ha necessità di spostarsi in automobile e chi invece vuole farne a meno. Negli anni ha migliorato le infrastrutture, sistemato la rete viaria, creato un sistema di circolazione efficiente, cercando di favorire il più possibile chi sceglieva la bicicletta come mezzo di trasporto.

Nel novembre 2023, al termine della ricognizione dei percorsi iridati fatta dall’Union Cycliste Internationale per confermare alla città l’assegnazione dell’organizzazione della rassegna, i delegati dell’Uci scrissero: “Nessuna criticità da segnalare. Percorsi perfetti”. Aggiunsero: “Eccellente strutture ciclistiche per muoversi nelle zone interne ed esterne dei percorsi di gara”.

L’amministrazione comunale di Zurigo si era candidata proprio per questo a ospitare i Mondiali 2024: per proporsi in mondovisione come meta cicloturistica all’avanguardia e aumentare così il numero di cicloturisti che vengono a pedalare lì e attorno al lago.

I primi giorni sono stati un successo. Ora mancano le ultime due gare, quelle che possono rendere eccellente questa otto giorni svizzera.

Le premesse ci sono tutte per ricordare questi Mondiali a lungo.

Ci sono perché sia nella prova femminile sia in quella maschile si affronteranno campionesse e campioni di primo livello, soprattutto tutta gente volenterosa di attaccare da lontano, capace di fregarsene di quella tattica che sussurra di andare a risparmio, di aspettare e aspettare.

Il percorso poi favorisce la voglia di stupire. Il circuito finale è duro, ma non eccessivamente duro. Inizia con uno strappo di quelli che fanno bruciare le gambe, quello della Zürichbergstrasse, poi prevede una salita di un paio di chilometri non troppo dura ma con due tratti più ripidi, uno al nove per cento di pendenza. E tra la cima di questa e l’inizio della discesa ci sono dieci chilometri che salgono e scendono senza soluzione di continuità, buoni per stimolare gli istinti rivoltosi di chi è in gara. Tipo Demi Vollering e Lotte Kopecky, ma anche Elisa Longo Borghini e Cecilie Uttrup Ludwig, Marianne Vos e Katarzyna Niewiadoma. Tipo Tadej Pogacar e Remco Evenepoel, ma anche Mathieu van der Poel (davvero c’è chi pensa che il percorso sia troppo duro per lui?) e Julian Alaphilippe, Ben Healy e Tom Pidcock, Pello Bilbao e Ben O’Connor. O chissà un Primoz Roglic di anarchica libertà depogacizzata o un Michael Matthews che su percorsi duri e da inventare tatticamente ha iniziato, anno dopo anno, a trovarsi sempre meglio.

È circuito, quello zurighese, che lascia spazio alla capacità di improvvisare. Soprattutto alla fantasia.

Quella di chi lo guarderà immaginandosi di pedalare in un luogo dove ci si può abbandonare al puro piacere di muovere i pedali senza dover stare ossessivamente attento a portare a casa la pellaccia. Quella dei corridori che a furia di sentirsi dire che era percorso per scalatori hanno finito per convincersi. Salvo qualcuno che, dopo averlo percorso e ripercorso, si è fatto persuaso che se Tadej Pogacar e Remco Evenepoel non fanno i Pogacar e gli Evenpoel, cioè gli assi pigliatutto, c’è posto anche per un’insurrezione ragionata.

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