Kyiv, migranti, banche. Tre grandi trollate europeiste di Mattarella

Sventagliate ai pacifisti sull’Ucraina (“la pace non è sottomissione”). Realismo sull’immigrazione (“un problema”). Sberle alle banche tedesche (“servono campioni europei”). Le super lezioni del presidente della Repubblica contro l’ipocrita collettivo

C’è troll e troll. Ieri mattina, Sergio Mattarella ha incontrato il suo omologo tedesco, Frank-Walter Steinmeier, nell’ambito della sua prima visita di stato in Germania, e nel corso di una conferenza stampa tenutasi alla fine del colloquio il capo dello stato, quello italiano, è entrato in quella che si potrebbe definire modalità troll. Ci sono troll insopportabili, fastidiosi, aggressivi, che sono quelli che, come dice la Treccani, “intralciano il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema”. Ci sono poi troll formidabili, sorridenti, docili ma letali, che somigliano molto al nostro presidente della Repubblica. La modalità troll, modalità spietata, assunta da Sergio Mattarella ieri è stata così clamorosa ed efficace da avere indotto alcune agenzie di stampa, non tutte, a smussare e ammorbidire il tono delle sue dichiarazioni. Mattarella, ieri, ha offerto molti spunti di riflessione ma su almeno tre punti ha regalato elementi utili per mandare in cortocircuito i populismi di destra, di sinistra e anche quelli tedeschi.

Mattarella, in terra tedesca, da magnifico troll, giusto nelle ore in cui la Germania politica è entrata nel panico assoluto per via della scalata dell’italiana Unicredit a Commerzbank, ha ricordato, con un sorriso trattenuto a stento, che l’Italia e la Germania stanno “attraversando una fase di grande collaborazione”, almeno dal punto di vista bilaterale, e che insieme, ed ecco la trollata, dovrebbero aiutare insieme l’Europa ad “avere campioni europei che possono confrontarsi, in maniera sperabilmente non competitiva ma collaborativa con altri campioni di altre parti del mondo, è assolutamente indispensabile”. Tema sottinteso: cari amici tedeschi, scusateci tanto, noi vi vogliamo bene, ma se da anni ci dite che l’Europa deve essere più unita, più coesa, se da anni ci dite che serve un completamento del sistema finanziario dell’unione, come potete ora fare i capricci, senza provare un po’ di imbarazzo, di fronte alla possibilità che una banca italiana si compri una banca tedesca? Non vorrete mica dare ragione all’Economist che giusto ieri, venerdì, ha detto che la vostra risposta su Unicredit “puzza in modo viscerale di nazionalismo economico?”.

La seconda favolosa trollata di Sergio Mattarella, quella più sottile ma non quella più importante, è avvenuta in un momento successivo quando il capo dello stato ha affrontato il tema dell’immigrazione. Mattarella affronta il tema inizialmente in modo soft, piatto, ricordando che “la questione migratoria è al centro dell’attenzione e si è alla ricerca di come poter governare con sicurezza questo fenomeno che è globale”. Nel momento in cui il capo dello stato arriva ad aprire il capitolo delle possibili soluzioni ecco la sventagliata. Primo: non si può negare che vi sia “uno squilibrio demografico crescente nelle previsioni dei demografi, tra Africa ed Europa”, ed è per questo che i “governi sono alla ricerca di un sistema per gestire questo fenomeno in maniera ordinata, senza sconvolgimenti nell’ambito interno”. Dunque, sì, la pressione africana esiste, non è una menzogna, è un tema, anzi, dice il capo dello stato, “è un problema” (un’agenzia di stampa, per rendere forse più soft il messaggio del capo dello stato, ogni volta che Mattarella ha usato la parola “problema”, sul tema dei migranti, l’ha sostituita diligentemente con “questione”). E per risolvere il problema, il capo dello stato dice, senza che nessuno glielo abbia chiesto, e dunque ci tiene proprio a dirlo, di avere “un modello da stimolare”.

Un osservatore sensibile al richiamo della foresta progressista si sarebbe potuto aspettare di ascoltare da Mattarella un qualche discorso venato di umanitarismo tradizionale: accogliamo di più, integriamo di più, facciamone arrivare ancora di più. Mattarella, invece, sceglie una strada diversa. “Alcune nostre associazioni industriali – dice – organizzano corsi di formazione per giovani in paesi africani. Una volta addestrati vengono nelle industrie italiane. Fanno un periodo e poi decidono se restare lì o andare a investire quanto hanno appreso in termini di professionalità nel loro paese. E’ una forma positiva. Mi fa pensare che noi risolveremo il problema quando saremo stati capaci di organizzare in un modo come questo o in un modo simile a questo ingressi regolari per il bisogno di manodopera che ha l’Europa. Ma regolari. Autorizzati. Togliendo chi desidera di migrare dalle mani dei trafficanti di esseri umani. Quando riusciremo a far questa sostituzione avremo risolto il problema”. Aiutiamoli a casa loro, dice sostanzialmente Mattarella, e formiamoli a casa loro per farci aiutare a casa nostra, non incoraggiando, come fa qualcuno, i viaggi della speranza in mare, viaggi che non fanno altro che rafforzare il business dei trafficanti di esseri umani, ma scommettendo sul così detto decreto flussi, scegliendo noi, e non qualcun altro, chi far arrivare in Europa e come gestire il problema, o se volete la questione.

La terza clamorosa e formidabile trollata del capo dello stato e forse la più importante, anche se non è un inedito, ed è una trollata avvenuta sul terreno su cui Mattarella si muove con più disinvoltura: la difesa dell’Ucraina. Mattarella, gran cattolico di formazione progressista, quando parla di questi temi sa perfettamente di parlare anche a tutti i cattolici italiani che a differenza di lui, a differenza del capo dello stato, vorrebbero alzare bandiera bianca, vorrebbero vedere capitolare la Nato, vorrebbero dare a Putin quel che chiede senza più provocarlo. E per questo ogni volta che parla di Ucraina le parole del capo dello stato hanno un peso speciale, doppio, forse persino triplo, e inevitabilmente e fortunatamente suonano come un pugno in un occhio per tutti i pacifisti desiderosi di vedere un’Ucraina con le mani in alto. “Siamo – dice Mattarella – alla ricerca di una conclusione a questa sconsiderata avventura bellica iniziata dalla Russia contro l’Ucraina nella speranza che si possano trovare spiragli per una soluzione di pace. Ma la pace non vuol dire sottomissione e abbandono dei princìpi di dignità di ogni stato e del diritto internazionale. Né sottomissione alla prepotenza di chi pensa di affermarsi con l’uso delle armi. Per questo difendere l’Ucraina, aiutare a difendersi, sostenerla, come stiamo facendo, dal punto di vista economico, finanziario, umanitario, militare, è essenziale per difendere la pace, ed evitare che a questa avventura sconsiderata ne seguano altre che trascinerebbero il mondo in una condizione ingovernabile e drammaticamente pericolosa”.

Nella frase di Mattarella, oltre a essere perfette anche le virgole, è perfetto anche l’utilizzo del “ma”. I pacifisti desiderosi di ammorbidire il proprio messaggio di sostegno all’Ucraina di solito costruiscono la frase all’opposto di Mattarella: prima rivendicano ciò che hanno fatto finora, “il nostro sostegno all’Ucraina è sempre forte”, e così via, e poi dicono “ma ora è arrivato il tempo di…” (scegliete voi una parola a caso tra: de-escalation, trattative, percorso di pace, smetterla con le provocazioni). Mattarella invece ha scelto di invertire il ma, parlando di Ucraina, costruendo la sua frase come si dovrebbe costruire una frase di un uomo delle istituzioni che sa cosa vuol dire difendere una democrazia: prima l’afflato inevitabile verso un percorso di pace, poi, per imprimerlo bene nelle coscienze, la necessità di mollare di un centimetro, di difendere l’Ucraina in tutti i modi, compreso quello militare. Sarebbe stato magnifico sentir dire al capo dello stato che l’aiuto militare offerto all’Ucraina non deve avere vincoli, e che le armi che inviamo a Kyiv devono essere utilizzate senza limiti. Ma mentre lo scriviamo ci rendiamo conto che il fatto di non aver detto nulla, e di non aver avallato la strategia diplomatica italiana di diffidare l’esercito ucraino dall’utilizzo delle nostre armi fuori dal confine ucraino, non è poi una scelta malvagia. Solidarietà all’internazionale del pacifismo farlocco. Viva i troll. Viva Mattarella.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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