Fondazione pubblica o privata? Se non si scioglie il nodo i Giochi sono a rischio

Per la procura la Fondazione è assolutamente di carattere pubblico. Perché la sua governance è nominata da enti pubblici, perché usa fondi pubblici e perché la finalità del suo operare è pubblica. Siamo sicuro che è tutto così?

“Adesso, Milano-Cortina”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha detto chiaro e tondo, festeggiando la conclusione della missione olimpica parigina. Eppure, malgrado l’attenzione dell’inquilino del Colle, l’unico vero potere che conta in Italia, sull’entità giuridica (difficile chiamarla altrimenti senza sbagliare) che dovrà organizzare i Giochi invernali del 2026 pende ancora una spada di Damocle che pare formale ed è invece è sostanziale: quale è la natura della Fondazione Milano Cortina? Privata o pubblica? Non è una domanda da poco, per chi deve amministrarla. Prima di tutto per chi la pone: la procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta sull’ex amministratore delegato della Fondazione, Vincenzo Novari, che negli usltimi tempi sta cercando di farsi passare come una vittima del sistema politico, almeno stando agli interrogatori pubblicati dal Corriere della Sera. Il suo nemico? Quello di sempre: Giovanni Malagò. Ma evitiamo subito i fraintendimenti: l’opporsi a un “Eternal” del potere sportivo (modello Marvel) non fa di Novari un eroe.

Tornando alla vera questione: per la procura la Fondazione è assolutamente di carattere pubblico. Perché la sua governance è nominata da enti pubblici, perché usa fondi pubblici e perché la finalità del suo operare (organizzare le Olimpiadi) è pubblica. Se questo è (fosse?) vero, le sue procedure dovrebbero essere perfettamente pubbliche: dunque le gare per qualunque cosa “sopra soglia” e conseguenti tempi biblici, con conseguenti ricorsi a Tar e Consiglio di stato. E conseguente slittamento delle Olimpiadi Milano-Cortina dal 2026 al 2046, se tutto andasse bene. Non c’è solo questo: se davvero la Fondazione fosse pubblica allora tutto quanto fatto fino a oggi andrebbe riesaminato e rifatto, seguendo le regole più stringenti della pubblica amministrazione. Non è una cosa da poco. C’è però un dettaglio cruciale da aggiungere: il governo, scrivendo lo statuto della fondazione, ha detto chiaro e tondo che la Fondazione è privata. Checché ne dica la procura di Milano. Cioè, Fondazione Milano Cortina opera in regime privatistico e dunque non è obbligata a tutto quanto indicato sopra. L’ha detto in modo lampante. Perché l’ha fatto? Per renderla agile e snella e scongiurare il fatto che per il 2026 niente sia pronto, pericolo paventato da più d’uno comunque durante la gestione Novari.

A oggi il primo giudice chiamato a pronunciarsi, del tutto incidentalmente (l’oggetto era il sequestro del telefonino dell’ex dirigente Massimiliano Zuco), è stato il tribunale del Riesame, che di fatto ha riconfigurato il reato in “corruzione tra privati”; ma ha anche detto esplicitamente che non è questo tribunale a dover risolvere lo scisma tra chi crede che la Fondazione abbia natura pubblica e chi crede che abbia natura privata. In un mondo normale e in uno Stato normale, ovunque nel mondo, considerato che non si possono rimandare le Olimpiadi (ohibò, per la finale di Champions Milano c’è riuscita), i processi di accertamento in modo univoco e assoluto di questa vicenda sarebbero stati prima di tutto individuati (chi deve decidere? Boh) e poi accelerati, per consentire al management di operare serenamente senza sbagliare. Non in Italia: dal 16 luglio, sentenza del Riesame, sono passati oltre due mesi. E non c’è stato alcun progresso, né verso una interpretazione né verso l’altra. Certo, alla Fondazione sono sicuri di essere nel giusto, e dunque privati. E in procura sono sicuri che governo e Fondazione abbiano torto, e dunque che siano pubblici. Una situazione simile è paragonabile a quanto sta avvenendo con l’urbanistica a Milano. In mezzo ci finisce il povero amministratore delegato, Andrea Varnier, che sta tra l’incudine dell’incertezza normativa e la certezza che il tempo passa e che le Olimpiadi si avvicinano. Abituato al silenzio più che alle dichiarazioni altisonanti del suo predecessore, testa bassa e pedalare, Varnier sta facendo il suo. Ma il rischio esiste, anche per lui. Perché in Italia, quando pure le Olimpiadi fossero un successo – cosa non scontata – un avviso di garanzia postumo non lo si nega a nessuno. Non esattamente una situazione di serenità per chi deve fare un lavoro importante per l’Italia, per gli italiani. E per il Colle.

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