C’era una volta il carattere degli italiani. Oggi è così difficile da definire

Al giorno d’oggi è complicato definire cos’è la nostra coscienza nazionale. E c’è un motivo: le modernizzazioni hanno creato un popolo populista e tecnologizzato, cioè una nuova plebe che ostacola e disgrega socialità e solidarietà pubblica

Benché oggi il problema sia lo stato dell’intera umanità più che il carattere dei singoli popoli, periodicamente, almeno in Italia, si torna a fare l’esame di coscienza nazionale, a chiederci quale sia e come si sia formato storicamente il carattere degli italiani. Nonostante la fondazione antifascista della nostra repubblica, anche la persistenza del “carattere fascista” contiene il problema del carattere nazionale, dato che il fascismo storico lo abbiamo inventato in Italia e la sua vicenda è stata disastrosamente autodistruttiva.

Ma si può giustamente andare molto indietro, agli anni della lunga decadenza politica italiana dopo i vertici raggiunti dalla nostra cultura rinascimentale. Secondo Francesco De Sanctis, fervente patriota nonché fondatore della nostra critica e storiografia letteraria, i nostri guai caratteriali arrivarono presto, già con il debole carattere di Petrarca rispetto a Dante, e con la nascita del nostro classicismo secolare, molto formale e meno morale. I nostri geniali rinascimentali furono dei “superuomini” e impressionarono l’intera Europa, soprattutto la Germania, da Goethe a Burckhardt e Nietzsche, ispirando poi il titanismo tipico di tutto l’Occidente romantico.

Il grande scrittore politico russo Aleksandr Herzen, che conobbe di persona i nostri patrioti risorgimentali, li contrappone a tutti gli altri fuoriusciti e cospiratori e li vede come eroi classici, senza i difetti caratteriali di francesi, inglesi e tedeschi. Ma la simpatia di Herzen per il carattere italiano, per la generosità e semplicità umana che lo distinguono, sembra essere un’eccezione. D’altra parte, anche in personalità politiche come Mazzini e Garibaldi, il politico intellettuale Herzen nota una scarsa capacità di dialogo, al limite della paranoia. Ne parla come di “cospiratori-artisti, martiri e avventurieri (…) tutto quel che volete, ma non volgari e prosaici borghesi”. Magari gli italiani lo diventarono più tardi, quando tutta l’Europa e non solo l’Italia diventerà borghese: “L’Italia, il più poetico paese del mondo, ha abbandonato il suo fanatico amante Mazzini, ha tradito suo marito, l’Ercole-Garibaldi, non appena il geniale borghese Cavour, grassottello e occhialuto, le ha proposto di prendersela come mantenuta. Con la borghesia le individualità diventano scialbe” conclude Herzen “ma la gente scialba è più sazia”.

In quella “invenzione dell’Italia moderna” analizzata da Giulio Bollati a partire da Pietro Verri, Parini, Alfieri e Foscolo, Manzoni e Leopardi, fino a Cattaneo, il problema del carattere nazionale oscilla fra un rifiuto della modernità in nome di vecchi privilegi nobiliari e un progetto di progresso nel quale l’economia e la civiltà, la scienza e la società giusta non si separino e non si contrappongano. Il popolo avrebbe dovuto progredire culturalmente, moralmente e civilmente, smettendo di essere “volgo” e “plebe”.

Ma ora infine che cosa è avvenuto? È avvenuto che le modernizzazioni hanno creato un popolo populista e tecnologizzato, cioè una nuova plebe che ostacola e disgrega socialità e solidarietà pubblica. Quando poi aumentano sfiducia nella partecipazione politica, l’indifferenza e la demoralizzazione civile, allora non c’è progresso ma mutazioni cieche che vanificano qualunque tentativo di definire psicologicamente e culturalmente gli italiani di questi ultimi decenni.

Non ci si può più chiedere se somigliamo a Pinocchio o a Pulcinella. Se veniamo da Boccaccio, da Machiavelli, Aretino o Casanova. Se da don Abbondio e Azzeccagarbugli… Il trasformismo, la storica commedia dell’arte e la nuova commedia all’italiana sono ancora il nostro tipico e naturale modo di essere e di esprimerci? Può darsi. Ma forse è più probabile che tutta la nostra storia sia ormai finita in una globalizzata dopo-storia e in forme di barbarie o di stupidità postculturale, se non postumana.

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