Netanyahu ritira l’idea del cessate il fuoco con Hezbollah

Ingabbiato dalla politica in casa, il premier arriva a New York tra le accuse degli Stati Uniti e dice: in Libano andiamo avanti. Israele colpisce Beirut e uccide il capo dei droni Mohammed Srur

La voglia di tregua di Benjamin Netanyahu è ingabbiata dalla politica litigiosa del suo governo e gli Stati Uniti hanno deciso, con fonti anonime, di far sapere che la proposta di un cessate il fuoco di ventuno giorni tra Israele e Libano per negoziare un accordo più ampio era tutt’altro che un piano esclusivamente americano e francese, ma era stato discusso e approvato anche dal primo ministro israeliano che dopo il suo arrivo a New York, e dopo le dichiarazioni degli alleati, avrebbe dovuto dire che sosteneva la proposta e dava il via libera per negoziare. Appena atterrato per partecipare all’Assemblea delle Nazioni Uniti, Netanyahu invece ha detto di non aver mai approvato l’idea di un cessate il fuoco e Israele continuerà a colpire Hezbollah con tutta la sua potenza.

Le parole che il ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer, aveva consegnato ai diplomatici stranieri erano inequivocabili e raccontavano che Netanyahu non vuole un’invasione di terra. La giornata che avrebbe dovuto aprire a nuove soluzioni è stata una ripetizione di quelle precedenti, con gli stessi pericolosità, mortalità e logorii: Hezbollah ha bombardato Israele ha colpito il Libano meridionale e Beirut, in cui è stato eliminato Mohammed Srur, capo del programma dei droni del gruppo. Hezbollah è indebolito, ma ha ancora la forza di combattere una guerra contro Israele. Chi si oppone al cessate il fuoco crede che ventuno giorni sarebbero sufficienti al gruppo per farsi trasferire armi dall’Iran e anziché essere usati per negoziare il ritiro dei miliziani dal confine con Israele e la messa in sicurezza della regione settentrionale dello stato ebraico, verrebbero usati per rafforzarsi e tornare a combattere con più forza. Gli israeliani credono che sia questo il momento di sconfiggere Hezbollah, ma per farlo, la valutazione dell’esercito è che sia necessario invadere.

Chi si oppone al cessate il fuoco sono i ministri estremisti, come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich che hanno minacciato di far cadere il governo in caso di accordo, ma anche le opposizioni credono che sia un azzardo lasciare per troppo tempo Hezbollah libero dai combattimenti. Yair Lapid, il leader del partito di centrosinistra Yesh Atid, ha scritto su X che dopo una tregua di una settimana, se non ci sono passi avanti per la sicurezza di Israele, bisogna continuare a combattere. La condanna dei più accaniti oppositori del cessate il fuoco colpisce direttamente gli alleati, accusati di voler fermare Israele quando è a un passo dai suoi obiettivi. Netanyahu sapeva tutto e riguardo alla possibilità di una guerra in Libano concorda con gli Stati Uniti, che hanno svelato il doppio gioco del premier accolto dalle proteste a New York mentre anche in Israele i suoi concittadini hanno manifestato: l’idea di un cessate il fuoco ha riaperto la speranza in un’intesa con Hamas per liberare gli ostaggi. Tanto è stato il pasticcio della politica israeliana, che Hezbollah non ha dovuto neppure comunicare cosa pensa della tregua.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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