Le fiamme del carcere di Regina Coeli hanno illuminato la notte. Tutto è avvenuto tra le 21 e la mezzanotte di ieri, 25 settembre. Secondo le prime ricostruzioni, alcuni detenuti dell’ottava sezione della casa circondariale di Roma si sarebbero opposti all’ordine di rientrare nelle loro celle e avrebbero incendiato dei materassi, fatto esplodere delle bombolette dei fornelli da campeggio e danneggiato alcune celle. La protesta è stata sedata dagli agenti dopo circa tre ore. “Al momento non si segnalano feriti”, dice il Segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria Gennarino De Fazio che premette che non ci sono stati neanche scontri fisici. Solo un agente “sarebbe stato colpito da un leggero malore, probabilmente per l’inalazione di fumi sprigionati dagli incendi appiccati dai detenuti, mentre non ci sarebbero feriti o contusi”. Ci sono stati invece ingenti danni all’ottava sezione che conta all’incirca un centinaio di detenuti.
Per mettere fine alla protesta sono arrivati agenti anche da altre carceri, ma c’è una persona che non è potuta entrare a Regina Coeli: la garante dei detenuti di Roma Valentina Calderone. Su Instagram si sfoga in questo modo: “Non mi hanno fatto entrare, nonostante la mia insistenza sono dovuta rimanere fuori dalla prima rotonda. Mi è stato chiesto di andarmene, più di una volta. Quindi mi sono seduta su un gradino a scrivere queste righe, mentre medici e infermieri sono andati a fare il giro in cella nell’ottava sezione, che mi dicono essere devastata”. Gli agenti le hanno spiegato che non poteva entrare per motivi di sicurezza, ma lei scrive: “La sicurezza di chi? Che domanda stupida. E quindi sono stata su quello scalino, al margine di qualcosa che non ho potuto vedere, solo in minima parte percepire. E non mi è piaciuto guardare sfilare agenti in antisommossa che uscivano, infermieri in camice verde che entravano, e rimanere solo a immaginare gli uomini rinchiusi lì dentro”.
Meno di dieci giorni fa, si era suicidata la terza persona detenuta da inizio anno nel carcere romano. Anche lui, come le due precedenti, si trovava nella settima sezione. La settima sezione è allo stesso tempo una sezione di ingresso, di transito, disciplinare, di isolamento sanitario. Le persone qui recluse restano in cella per 23 ore al giorno in una condizione che di dignitoso non ha nulla. Questa la situazione descritta dall’osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione, così come emersa durante una visita avvenuta a febbraio scorso:
“Le celle sono piccolissime e ospitano due o tre persone su un unico letto a castello. Il wc e il lavandino si trovano in una piccola stanza adiacente senza intimità. Le finestre sono più piccole che altre sezioni e dotate di celosie, il che non consente all’aria di circolare e riduce l’ingresso della luce naturale. Solo le celle del terzo piano sono dotate di doccia. In questi spazi così ristretti, le persone trascorrono 23 ore al giorno. A causa del sovraffollamento nel secondo e nel terzo piano della sezione le aule ricreative sono state trasformate in celle. Le condizioni igienico sanitarie della sezione sono pessime”.
Regina Coeli è il primo carcere per numero di suicidi. Secondo il report 2024 elaborato da “Ristretti Orizzonti” (fermo alla data del 15 settembre 2024) nel dossier “Morire di carcere”, i detenuti che si sono tolti la vita negli ultimi quattro anni sono quindici.
Anche la garante Calderone pone l’attenzione sull’affollamento della struttura. “628 posti disponibili, 1170 persone che si contendono un po’ di spazio”, scrive sui social. Anche De Fazio della Uilpa sostiene che “non si può continuare così” e chiede al governo di intervenire, non solo “per deflazionare la densità detentiva”, ma anche per “potenziare la Polizia penitenziaria, garantire l’assistenza sanitaria e psichiatrica, nonché per reingegnerizzare il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e riorganizzare il corpo di Polizia penitenziaria”.
I detenuti sono troppi e il personale è troppo poco. Il carcere di Trastevere ha un sovraffollamento del 184 per cento, ma allo stesso tempo conta un numero di addetti di polizia insufficiente: gli agenti sono 350, “mentre ne servirebbero 709” dice De Fazio, che sottolinea come “di sera quelli impiegati sono normalmente meno di 20 in totale”. Il problema della mancanza di personale riguarda tutta Italia: servirebbero 18.000 agenti in più. Ma il problema è proprio l’intera gestione del sistema carcerario italiano: “Strutture fatiscenti, dotazioni inadeguate, carenze nell’assistenza sanitaria e psichiatrica e approssimazione organizzativa e il quadro che ne emerge è autodescrittivamente desolante. Gli operatori sono esposti ad aggressioni continue (oltre 2.700 nell’anno) e sottoposti a turnazioni massacranti con la compressione dei più elementari diritti anche di rango costituzionale. Non potrà andare sempre così”.
L’aumento delle proteste e la mancanza di personale preoccupa anche il sindacato Sappe che, per bocca del segretario generale per il Lazio Maurizio Somma, protesta “con veemenza per una situazione esplosiva che era nota ai vertici dell’ Amministrazione penitenziaria nazionale e regionale ma rispetto alla quale nessun provvedimento era stato assunto. Chiediamo un sopralluogo tecnico da parte del Prap e una visita ispettiva da parte dell’Asl per valutarne l’idoneità sotto il profilo dell’igiene e della sicurezza dei luoghi di lavoro”.
A inizio settembre, il presidente della regione Lazio Francesco Rocca, espressione del centrodestra, aveva visitato la struttura r riconosciuto che ci sono moilti problemi, dal sovraffollamento alla carenza di personale. Le condizioni pessime avevano fatto dire al governatore che “Regina Coeli dovrebbe essere chiusa ma, vista la carenza di posti e in questa fase di riorganizzazione generale delle strutture penitenziarie, una strada percorribile potrebbe essere quella di trasformarla in casa di reclusione, utilizzando invece Rebibbia come carcere giudiziario”. L’istituto di Trastevere, dall’inizio degli anni Settanta e l’apertura del femminile, del penale e Nuovo Complesso di Rebibbia, è la casa circondariale di Roma, cioè il carcere in cui sono detenuti principalmente gli imputati o gli indagati in attesa di giudizio ma che ospita, nelle sezioni penali, anche alcuni condannati a pene non superiori ai cinque anni. Anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, a margine della sua visita a Ferragosto, aveva fatto appello al governo “Affronti questa emergenza. Non è possibile che nella Capitale d’Italia ci sia un istituto con quasi il doppio di detenuti rispetto alla capienza e con un terzo in meno di polizia penitenziaria. Servono misure per le pene alternative che evitino l’abuso della detenzione, situazioni dignitose, e percorsi di reinserimento nella società. Noi come Comune abbiamo lanciato un progetto con Ama a Rebibbia per formare operatori dell’economia circolare”.
Le rivolte nelle carceri italiane sono però il segno di un profondo disagio e della terribile inumanità in cui sono costretti a vivere i detenuti. I casi di suicidio sono a oggi 72 e niente lascia presagire che possano fermarsi. Ieri sera hanno protestato i prigionieri dell’ottava sezione dell’istituto di via della Lungara, ma nella settima, solo nell’ultimo anno, si sono tolti la vita tre uomini. “Una sezione di ingresso, di transito, disciplinare, di isolamento sanitario e chi più ne ha più ne metta. Per una ragione o per l’altra, quasi tutti i detenuti sono incompatibili con quasi tutti gli altri, e quindi sono costretti in cella tutto il giorno, salvo quell’oretta che riescono ad andare a turno in un cubicolo scoperto che chiamano aria, manco fossero al 41bis”, ecco come la descrive il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia. Che oggi, sui suoi canali social, aggiunge: “Regina Coeli in fiamme è metafora di un sistema penitenziario allo sbando. Non si può continuare così, né pensare che tutto si risolva con ordine e disciplina”.