Daniele De Rossi sui muri di Roma

La Capitale si è svegliata tappezzata di manifesti a favore dell’ex allenatore. La Roma, ancora una volta, è l’unica cosa che riesce a far indignare i romani

Diceva Valerio Mastrandrea nel video della canzone del Piotta “Supercafone” che “i capisardi” sono: “La femmina, il denaro e la mortazza”. C’è chi ancora a Roma gli dà ragione. Con una sola aggiunta: “La Roma”, nonostante qualcuno sostituisca l’ultima parte di questo assioma con “la Lazio”.

A Roma l’Associazione sportiva Roma è cosa serissima. A tal punto seria che Massimo Troisi, senza alcuna ironia, se la prese con un giornalista romano che accusava Napoli di vivere di calcio. Erano gli anni di Maradona. Disse: “A Roma ci si alza e si legge della Roma, poi si entra in macchina e si ascolta della Roma, al bar si parla della Roma. E in più c’è pure un’altra squadra in città. Se assaltassero il Parlamento non gliene fregherebbe a nessuno, ma se arrestassero Giuseppe Giannini inizierebbe la rivoluzione. Non è Napoli a vivere di calcio”.

Sono passati poco più di trent’anni da allora. Nulla è cambiato. Anzi. Per Roma, alla Roma, sono passati Francesco Totti e Daniele De Rossi, romani, romanisti, entrambi a loro modo core de ’sta città.

Sono stati futuro e presente di una squadra che ha rischiato di vincere tanto e ha raccolto pochino. Sono diventati passato. Ancora rimpianto. Il primo era entrato in società, poi è stato messo da parte. Il secondo si era seduto in panchina. Aveva lenito il dolore per la cacciata di José Mourinho, aveva fatto bene e poi benino, mai davvero male. Lo hanno esonerato comunque. Lesa maestà. Hanno vociato a lungo, si sono lamentati. Nella notte tra mercoledì 25 e giovedì 26 settembre (il giorno del debutto europeo in Europa League contro l’Athletic Bilbao) hanno tappezzato Roma, da Testaccio a Corso Francia, con manifesti aranciorossi con su scritto: in basso “Daniele De Rossi il nostro vanto” e in alto “Yankee go home”.

Sbagliava una cosa Massimo Troisi: la rivoluzione non è ancora iniziata, una rivolta, almeno carta e colla su muri e teche d’affissione, sì.

Roma è una città enorme, con molte cose che non funzionano: dalla mobilità alla gestione di certe zone anche non periferiche; ha un problema di gestione dei rifiuti; i cantieri stradali sono a volte eterni; c’è una diffusa sensazione di sopraffazione. A tutto questo le contromisure dei cittadini si sono limitate solamente all’invettiva, molte volte a mezza voce, altre espressa con qualche scritta sui muri.

Dovrebbe essere contento Daniele De Rossi se c’è chi ha impiegato tempo e speso denaro per organizzare tutto questo come protesta contro la sua cacciata dalla panchina.

Servirebbe questa organizzazione e questo impegno per pungolare le istituzioni cittadini a risolvere quei problemi che Roma si porta dietro da decenni – forse da sempre? – e che da anni e anni e giunte e giunte si mettono solo da parte, sperando che un giorno si risolvano magicamente da soli.

Non accadrà, il bene comune di Roma è la Maggica – anche se qualcuno non sarà d’accordo e sosterrà con fierezza biancazzurra che il vero bene comune di Roma è la Lazio, prima squadra della capitale, almeno per data di fondazione – e del resto poco importa, perché c’è sempre pronto un esticazzi da pronunciare con soddisfazione.

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