“Vogliono distruggere Israele, avamposto dell’occidente”. Intervista a Benny Morris

“Se l’Iran perdesse in guerra, il regime fanatico degli ayatollah cadrebbe” dice lo storico isrealiano, che spera vengano neutralizzati anche i suoi satelliti Hamas e Hezbollah

“C’è uno scontro di civiltà, ne siamo dentro, ma in occidente la maggioranza rifiuta di accettarlo, di vedere la realtà nonostante gli attentati di Madrid, Londra, Parigi, Stoccolma e Berlino”. Dopo decenni a studiare il conflitto mediorientale e a capire le ragioni palestinesi, Benny Morris è arrivato alla conclusione che non è sulla terra, ma fra due concezioni del mondo. “Ci sono valori occidentali in contrasto con un mondo islamico il cui atteggiamento verso la vita, la libertà politica, la creatività, è completamente diverso e il mondo islamico attacca l’occidente e si infiltra in esso” spiega al Foglio l’insigne storico israeliano, a lungo docente alla Ben Gurion University nella città di Beersheba, oggi 75enne capofila di quella che venne definita la corrente dei “Nuovi Storici”.




“Israele è la frontiera di questo scontro di civiltà, perché cerca di essere un argine al fondamentalismo islamico di Hamas e Hezbollah, sostenuti dall’Iran” prosegue Morris al Foglio. “Vogliono distruggere Israele, l’Iran lo dice apertamente, come i suoi satelliti Hamas e Hezbollah, non solo perché ha preso loro una terra che doveva essere islamica nella loro logica, ma la verità è che vedono Israele come un avamposto della civiltà occidentale. Gli arabi che ci hanno visto arrivare qui negli anni 1880, 1890 e all’inizio del 1900, ci consideravano un’estensione dell’occidente. Ci sono altri posti dove l’oriente incontra l’occidente. La Nigeria settentrionale, il Kenya settentrionale al confine con la Somalia, le Filippine, la Thailandia: queste sono le terre di confine tra l’islam e l’occidente. E noi siamo una di queste, sfortunatamente. Dopo Israele, vogliono islamizzare il mondo intero. E vogliono farlo gradualmente”.



Non è realistico, ma questo non significa che non ci provino. “E loro pensano che si stanno avvicinando al loro obiettivo. Le comunità islamiche in occidente, come in Francia, Belgio e Inghilterra, sono diventate persino politicamente importanti e nelle elezioni vediamo che contano sempre di più. E dalla loro hanno tassi di fertilità più alti degli occidentali postcristiani. Secondo Bernard Lewis, l’Europa alla fine del secolo avrà una maggioranza islamica”. Qualche anno fa, Morris fu quasi linciato mentre andava a una conferenza alla London School of Economics. “Non sono sorpreso dalla loro infiltrazione nelle università: ricevono molto denaro da paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita. Università dove vediamo che i giovani con la kefiah cantano ‘Palestina libera dal fiume al mare’ e sostengono Hamas. Anche in America, dove ha una piccola comunità islamica. E anche nelle elezioni del prossimo novembre, in stati come il Michigan”.


Per molti, Israele non può permettersi due guerre contemporaneamente, a sud contro Hamas e a nord contro Hezbollah. “A Gaza la guerra sta scendendo di intensità e ora l’attenzione è sul nord” ci dice Morris. “Quel che resta di Hamas è nei tunnel. Israele ha una divisione e mezzo a Gaza. A nord potrebbe, e io spero, che diventi una guerra aperta contro l’Iran e i suoi satelliti. Israele si è ripreso dal trauma del 7 ottobre. Se dovesse scoppiare una guerra totale ci sarebbe una massiccia invasione di terra da parte di colonne corazzate israeliane e un’occupazione prolungata del Libano meridionale. Ma lo stato maggiore e Netanyahu sembrano trattenersi, diffidenti data l’esperienza di Israele nel 1982-2000, quando occupò gran parte del Libano meridionale. Ma lo spopolamento della zona di confine israeliana è stato il principale risultato strategico di Hezbollah negli ultimi undici mesi di guerra transfrontaliera e l’estensione missilistica di Hezbollah più a sud in questi ultimi giorni minaccia di spopolare in modo massiccio il resto della Galilea, cosa che nessun governo israeliano può tollerare”.

Morris ha scarsa fiducia nell’Europa. “L’Europa è ancora immersa nell’appeasement da anni Trenta sull’Iran: allora l’Europa sapeva che Hitler era il male ma rifiutò di affrontarlo. Anche dopo l’11 settembre e il 7 ottobre, l’occidente non vede. Gli europei occidentali vivono una vita prospera e non vogliono essere trascinati in guerra”. Non ha fiducia neanche che la Repubblica islamica crolli per cause interne. “Il regime iraniano gode del sostegno delle periferie e delle campagne, mentre la classe media li odia. Gli ayatollah hanno quasi metà del paese con sé. Una parte degli iraniani è molto religiosa e pensa che Allah sia dalla loro parte. E chi si oppone è massacrato nelle strade. Non è facile opporsi a un regime che ti vuole morto. Il regime non cadrà, a meno che non sarà sconfitto in una vera guerra e gli americani decidono di averne abbastanza e Israele bombarda le sue installazioni atomiche. Allora collasserebbe. Ora è il momento di distruggere il regime fanatico degli ayatollah e sovvertire le sue ambizioni anti-occidentali. Se l’Iran avesse l’atomica, sarebbe tremendo per tutti, per Israele in primis, perché ci vuole distruggere. Ma Israele non lo consentirà. Netanyahu ha rimandato la resa dei conti, ma dovrebbe farlo finché Israele ha la superiorità militare e tecnologica per risolvere il problema. L’Iran è la principale minaccia a Israele e all’occidente”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

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