Morto un leader di Hezbollah non se ne fa un altro

Shukr, Aqil e l’attacco di Israele a Ali Karaki, responsabile del fronte del sud. Le eliminazioni dei capi del gruppo sono in grado di stravolgere e cambiare la guerra

Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, gestisce la guerra contro Israele con un numero ristretto di persone. La struttura del gruppo sciita è rigida, piramidale. Nasrallah, per quanto viva in un bunker dal 2006 per paura di essere rintracciato ed eliminato dall’intelligence israeliana, è l’unico capo del gruppo armato dall’Iran, e non ne ammette altri. Ha però dei collaboratori molto stretti, che conoscono i suoi piani, sanno come muoversi, hanno un’idea anche sul come realizzarli. Non si circonda di molte persone, anche perché vuole che il suo nascondiglio rimanga segreto e gestisce Hezbollah come se fosse un’agenzia di intelligence. Lui è il leader, e sotto di lui c’è un consiglio di stato maggiore che prende il nome di Consiglio del jihad. Finora gli attacchi di Israele contro i funzionari di Hezbollah sono stati mirati a restringere la cerchia di persone che sa come fare la guerra.


Si tratta dei consiglieri di Nasrallah, i suoi confidenti e strateghi, gli addestratori migliori, i conoscitori di tutte le mosse di Hezbollah, degli spostamenti delle armi e delle missioni delle sue unità di élite chiamate Radwan, costituite con l’intento di penetrare nel territorio dello stato ebraico. Ieri un attacco israeliano ha preso di mira per la quarta volta Beirut, nel quartiere di Dahiya, un sobborgo della capitale libanese in cui Hezbollah ha stabilito il suo quartier generale. L’obiettivo del bombardamento era Ali Karaki, responsabile del fronte meridionale, quindi delle attività in quella fascia del territorio libanese che Hezbollah ha militarizzato negli anni contro Israele. La scorsa settimana, Ibrahim Aqil era stato eliminato mentre si trovava sempre a Dahiya, in un edificio di sette piani mentre teneva una riunione con altri uomini del gruppo: lui era il più alto in grado, gestiva l’addestramento delle unità Radwan. Le due eliminazioni, una dopo l’altra, sono anche da collegare alle esplosioni dei cercapersone, in seguito alle quali molti membri del gruppo, per le ferite riportate, sono usciti allo scoperto.


La catena delle eliminazioni dei ranghi di Hezbollah era iniziata dopo i primi attacchi contro Israele, ma la prima uccisione di peso è stata quella di Fuad Shukr, consigliere militare, responsabile dei trasferimenti di armi, ucciso il giorno prima che Israele, senza ammetterne la responsabilità, uccidesse a Teheran anche uno dei leader di Hamas, Ismail Haniyeh. Shukr era un membro del Consiglio del jihad, aveva un rapporto diretto con Nasrallah, che non ha lasciato la sua eliminazione impunita e ha risposto dopo mesi con un lancio di missili che Israele è riuscito a intercettare. Secondo le valutazioni di intelligence, non sono molti gli uomini dello stato maggiore che rimangono in vita: Mohammed Haidar, responsabile del coordinamento con le milizie sciite in Iraq e in Siria e con gli houthi nello Yemen; Talal Hamia, capo dell’Unità 910 che si occupa delle operazioni di Hezbollah all’estero e Hashem Safi al Din, che del Consiglio del jihad è il capo e sarebbe stato designato da Nasrallah come suo successore. La struttura di Hezbollah è molto diversa da quella di Hamas, il gruppo della Striscia di Gaza ha vari leader, spesso in conflitto tra loro, ha un’organizzazione meno verticale che prende le decisioni in base al consenso, ha un modo di condividere informazioni spesso meno segreto, per questo eliminare un suo leader ha un impatto simbolico, ma è meno potente dal punto di vista organizzativo del gruppo. Hezbollah ha un vertice forte, se viene eliminato un suo comandante, la struttura di comando fa fatica a ripartire: non è una coda di lucertola, come Hamas, non si ricostituisce in fretta.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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