Liguria, Renzi, esteri. I tre fronti che agitano le acque del Pd

La buona reputazione di Marco Bucci, nonostante i trascorsi giudiziari di Toti, sembra preoccupare Elly Schlein, che nel frattempo pensa di blindare la vecchia guardia del partito il più lontano possibile da Roma, in modo da preservare la sua leadership da ingerenze riformiste

C’è una certa preoccupazione nel quartier generale del Pd. Una preoccupazione che riguarda la Liguria. I motivi sono fondamentalmente due. Primo, al Partito democratico temono che non tutto l’elettorato si mobiliti per l’ex ministro Andrea Orlando. Non tutti i moderati, per esempio. Ma qualche diffidenza riguarda anche una parte degli elettori del Movimento 5 stelle. Secondo, il sindaco di Genova, Marco Bucci, nonostante il carico negativo di Giovanni Toti, nella sua città viene considerato un bravo amministratore non asservito ai partiti della maggioranza che lo sostengono. Perciò da qualche giorno in qua al Pd sembra prevalere la prudenza sulla Liguria, anche se Orlando si sta dando un gran da fare nella regione: comizi e incontri, senza escludere nessuno, nemmeno Italia viva che un tempo gli era a dir poco indigesta. Sempre a proposito di Andrea Orlando: i fedelissimi di Elly Schlein fanno sapere in giro che se anche l’ex ministro dovesse perdere alle elezioni, è suo dovere restare in Liguria, in consiglio regionale, a fare il capo dell’opposizione, perché, spiegano, non si può farsi candidare e poi lasciare la regione.

I più maliziosi nel Pd ritengono che questo in realtà sia anche un modo per realizzare il progetto della segreteria: quello di allontanare le vecchie glorie del Pd. E a questo proposito ricordano che Schlein prima aveva offerto a Orlando un posto di capolista alle Europee, forse con lo stesso intento. C’è un gran fermento nell’area riformista del Partito democratico. Una parte di quella corrente è più che perplessa per la timidezza dimostrata dai leader in diversi frangenti importanti. Quello del sostegno all’Ucraina, per esempio. Secondo alcuni Stefano Bonaccini, benché sia il presidente del Pd, dovrebbe far sentire la sua voce e impuntarsi di più. “Elly – è il ragionamento che viene fatto da quelle parti – lo ha imprigionato in quel ruolo e lì lo lascerà per sempre così da evitare che le critiche all’operato della segreteria si facciano sentire di più. Se poi vincerà, meglio per tutti”. Per questa ragione un pezzo dei riformisti vorrebbe un chiarimento in direzione. Ma se ciò non avvenisse per l’abilità di Schlein di evitare complicazioni, allora i riformisti inquieti porranno questa questione nella grande convention che l’ex presidente della regione Emilia Romagna ha in animo di organizzare a Roma in ottobre.

Anche se non emerge mai in modo plateale c’è dunque malumore nel Pd nei confronti dell’attuale linea del partito. E non solo da parte dei riformisti. Alla segretaria, per esempio, da qualcuno, viene imputata la gestione di questi ultimi mesi. Dopo aver annunciato l’estate militante, Schlein è scomparsa dalle scene per diverso tempo in agosto. E il fatto è stato notato da tutti. Non solo, la leader del Pd – è un’altra accusa – “ha consegnato le chiavi del centro in mano a Renzi”. E’ vero che Schlein ha spiegato a tutti i suoi interlocutori nel partito che è stato il leader di Italia viva a “prendersi più spazio” di quanto in realtà gli si intendesse dare. Ma è anche vero, dicono, che la segretaria non ha mai posto uno stop ufficiale allo strabordare di Renzi.

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