La vergogna dell’Onu spiegata con Hezbollah

La storia dell’organizzazione islamista libanese ci ricorda perché le Nazioni Unite non muovono un dito di fronte ai terroristi nemici di Israele: ogni azione di difesa viene tradotta in un sinonimo di escalation, finendo per trasformare in carnefice la vittima e chiudere gli occhi sulle proprie (e gravi) omissioni

Non esiste confine al mondo come quello che separa per settantanove chilometri Israele dal Libano in cui è possibile osservare a occhio nudo un fenomeno politico, culturale e diplomatico che da molti anni ormai caratterizza in negativo, a voler essere generosi, una delle istituzioni più famose del mondo. Naturalmente parliamo delle Nazioni Unite, o se volete della vergogna delle Nazioni Unite, e nel caso specifico, senza voler allargare troppo la nostra inquadratura, parliamo di un fenomeno che dal 7 ottobre in avanti è risultato evidente anche agli osservatori più distratti: il suo pregiudizio naturale, irrefrenabile, incontenibile contro un paese chiamato Israele. Ieri, lo sapete, il confine tra Israele e Libano è stato illuminato dagli attacchi portati avanti dall’esercito israeliano contro ottocento obiettivi militari, contro ottocento postazioni di guerra governate dai terroristi di Hezbollah (negli attacchi, purtroppo, secondo le autorità libanesi, sono morte centinaia di persone).

Le Nazioni Unite, come spesso capita quando Israele cerca di difendere i suoi confini da chi prova ogni giorno, da anni, a farlo sparire, per cancellare l’unica democrazia del medio oriente dalla mappa geografica al fine di far risplendere un califfato islamista che possa andare dal fiume al mare, from the river to the sea, non hanno trovato da dire nulla di più originale di questi concetti. Primo: “Non esiste una soluzione militare che possa rendere più sicure entrambe le parti”. Secondo: “E’ essenziale rinnovare pienamente l’impegno nell’attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ora è più che mai fondamentale per affrontare le cause profonde del conflitto e garantire una stabilità duratura”.

Le Nazioni Unite sostengono spesso, senza vergogna, che ogni forma di difesa militare portata avanti dall’esercito israeliano contro chi vuole spazzare via Israele dalla faccia della terra sia una oltraggiosa forma di escalation (d’altronde non si affida per caso la guida di una commissione dei diritti umani all’Iran dei tagliagole). Ma nel caso del Libano la posizione delle Nazioni Unite è semplicemente scandalosa per una ragione fin troppo semplice da spiegare: Israele è intervenuto in Libano, contro i terroristi, anche perché da diciotto anni l’Onu ha scelto di chiudere gli occhi su quello che è successo al confine tra Israele e Libano.



Nel 2006, quando nacque Unifil, con la risoluzione 1701 venne stabilito dalle Nazioni Unite che non dovesse esserci “personale armato, postazioni e armi” tra il confine di Israele e il fiume Litani “che non siano quelle dell’esercito libanese e delle forze Unifil”. Solo negli ultimi anni di stretta vigilanza delle Nazioni Unite non è stato mosso un dito per denunciare quello che i terroristi di Hezbollah stavano facendo al confine con Israele: accumulo costante di razzi e di missili, centomila ordigni puntati contro Israele, missili di lunga gittata acquistati dall’Iran con capacità di colpire a 250 chilometri di distanza. Non staremo qui a ricordare le complicità mostrate dalle Nazioni Unite, via Unrwa a Gaza, e non staremo a ricordare che parte del personale dell’Unrwa ha preso parte al massacro del 7 ottobre, che diversi funzionari dell’Unrwa hanno applaudito per mesi chi teorizzava lo sterminio degli ebrei di Israele, che uno dei terroristi di Hamas, Fathi al Sharif, si trovava a capo del sindacato degli Insegnanti dell’Unrwa. Non staremo qui a ricordare tutto questo. Ma ci limiteremo solo a ricordare che ogni volta che le Nazioni Unite trasformano un’azione di difesa di Israele contro i terroristi in un sinonimo di escalation stanno semplicemente aiutando tutti coloro che nel mondo scelgono ogni giorno di trasformare in carnefice la vittima e in vittima il carnefice. E il fatto che il carnefice trasformato in vittima corrisponda spesso con il profilo di un terrorista che minaccia l’esistenza di Israele ci dice molto su cosa sia oggi la vergogna chiamata Onu.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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