Il brutto remake sugli extraprofitti

Ogni anno, di questi tempi, la mossa della disperazione: la tassa straordinaria

Se il film originale è stato bruttino, il rifacimento è orrendo. Ormai è tradizione di questo governo, ogni estate, di proporre una tassa sugli “extraprofitti”. L’anno scorso, ad agosto, il Consiglio dei ministri approvò un’imposta straordinaria sulle banche che avrebbe dovuto fruttare un paio di miliardi. Ad annunciarla ai mercati fu il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Erano tutti entusiasti, a partire dalla premier Giorgia Meloni che fece un video parlando di “tassa su un margine ingiusto” e incluso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che poi repentinamente cambiò idea dopo aver visto l’impatto dell’annuncio sui titoli bancari. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dopo qualche settimana arrivò a dire: “Può darsi che sia inopportuna, sicuramente c’è stato un difetto di comunicazione”. Così la norma fu modificata offrendo una via d’uscita: le banche potevano scegliere se pagare o accantonare una somma pari a due volte e mezzo l’importo della tassa. Tutte scelsero la seconda opzione: gettito zero.

Quest’anno la stessa brutta trama si ripete: si lancia l’idea di una tassa temporanea sugli extraprofitti, Giorgetti respinge l’ipotesi, Tajani dice di no a meno che non si tratti di un “contributo di solidarietà”. Ovvero volontario, come l’anno scorso, e quindi a gettito zero. Un dibattito surreale, mosso soltanto dalla disperazione di una maggioranza che non sa come rifinanziare i bonus in scadenza come la decontribuzione. Da quest’anno, peraltro, con le nuove regole fiscali europee tutto si basa su entrate e uscite strutturali. La logica del governo, invece, è sempre quella di chi campa alla giornata, cercando di coprire misure a termine con imposte una tantum. Se l’obiettivo dichiarato di Meloni e Giorgetti è rendere strutturale la decontribuzione, che aumenti strutturalmente l’Ires se pensa che per detassare i lavoratori bisogna tartassare le imprese. Ma eviti, per una questione di dignità, di andare ogni volta in cerca di denari dal settore che in quell’anno è andato meglio, facendo la figura o del taglieggiatore o del mendicante.

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