Che cosa chiede Zelensky agli alleati, oltre alla solidarietà

La definizione di vittoria e di pace del presidente ucraino, dentro una fabbrica di munizioni. La visita all’impianto di Scranton ha aperto il suo tour americano. Tra Palazzo di vetro e politici statunitensi, porta con sé un “piano per la vittoria”

È in posti come questi che puoi davvero sentire che la democrazia avrà il sopravvento, ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, dentro alla fabbrica di Scranton, in Pennsylvania, dove si producono le munizioni che servono alla difesa dell’Ucraina dall’aggressione di Vladimir Putin. Grazie a chi lavora qui instancabile, ha detto Zelensky, abbiamo bisogno di persone come voi per “proteggere la vita”, quella ucraina, quella di tutti noi, mescolando gratitudine e richiesta di fiducia e solidarietà da parte dell’occidente.

Gli isolazionisti che gravitano attorno al mondo trumpiano hanno subito fatto i conti in tasca ai grazie di Zelensky: immaginate quello che potremmo fare per gli americani – America first è sempre il filo rosso – con i soldi che diamo agli ucraini. Questa retorica ignora il fatto che l’aiuto all’Ucraina è una garanzia per la sicurezza degli americani, e sì che la priorità securitaria è sempre stata del Partito repubblicano, parlandone da vivo. Ma questa retorica ignora anche il fatto che gran parte degli investimenti del governo americano per l’Ucraina rimane in America, dando lavoro agli americani. L’emittente Npr è andata una settimana fa dentro alla Army Ammunition Plant di Scranton, dove si produce “il prodotto più richiesto” da Kyiv: è una fabbrica che ha iniziato una riorganizzazione prima che la Russia invadesse l’Ucraina ma che oggi contribuisce grandemente all’accelerazione nella produzione imposta dalla guerra, ha ricevuto parte dei fondi destinati alla Pennsylvania per le fabbriche militari e offre i posti di lavoro più qualificati e ben remunerati della città. E il senso d’urgenza è ovunque: prima dell’invasione putiniana, l’America produceva in media 14 mila munizioni al mese, ora è a 36-38 mila, l’obiettivo è 100 mila.

La visita a Scranton ha aperto il tour americano di Zelensky, tra Palazzo di vetro e politici americani, dal presidente Joe Biden ai due candidati alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump. Il presidente ucraino porta con sé un “piano per la vittoria” di cui si continua a discutere, cercando di intuire dettagli che ancora non sono pubblici e finendo per svilirlo nel mesto dibattito su chi vuole davvero la pace. In una splendida e dolorosa intervista al New Yorker alla vigilia dell’arrivo negli Stati Uniti, Zelensky ha spiegato bene che cosa intende per vittoria, per pace, per fiducia: “Quando mi si chiede ‘come la definisci, la vittoria, la mia risposta è sincera, non ho mai cambiato l’approccio, perché la vittoria riguarda la giustizia” e anche se “la giustizia non chiude le nostre ferite, ci dà la possibilità di riferirci a un mondo che possiamo definire giusto”. Zelensky cerca una pace giusta, dice che Putin ha già chiuso la porta a ogni tipo di pace – lo ha fatto di nuovo domenica dicendo che non parteciperà al prossimo summit internazionale per la pace – e che per questo l’unica alternativa è vincere. E se Biden dovesse dire di no a questo piano, ce l’avete un piano B? Il presidente ucraino dice che vive da sempre nel piano B, che il piano A era stato proposto prima dell’invasione, “se l’Ucraina è davvero forte, avevo detto ai miei alleati, non accadrà niente, ma non mi hanno ascoltato e ora hanno capito che avevo ragione”. Il “piano per la vittoria” è un nuovo piano A, perché “dimmi, quando Putin ha mai rispettato chi si è presentato da lui in una posizione di debolezza?”, e arriva dopo l’incursione ucraina nella regione russa di Kursk, che ancora non si può dire quanto e come sarà un successo, “ma ha mostrato ai nostri alleati di cosa siamo capaci” ed è questo che va cercando ora Zelensky, la fiducia oltre la solidarietà, la certezza che l’obiettivo comune è la vittoria.

Se così non fosse? “È un pensiero orribile, vorrebbe dire che Biden non vuole mettere fine alla guerra in un modo che neghi a Putin qualsiasi vittoria. Finiremmo in un conflitto davvero lungo” e il prezzo più alto sarebbe per gli ucraini, com’è fin dall’inizio. Zelensky ringrazia Biden, dice che senza il suo intervento l’occidente non si sarebbe unito e che questa è già stata una vittoria storica, ma ora si tratta di battere i russi, di costringerli alla pace: se ci lasciate fare, utilizzando anche le armi occidentali in territorio russo, continueremo a tenere voi americani (ed europei) fuori da una guerra, che è il patto iniziale, quello su cui gli ucraini non hanno mai sgarrato, e gli occidentali ritardatari e inopinatamente affaticati sì.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

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