Inter-Milan 1-2 e il posto fisso di Paulo Fonseca

I rossoneri vincono il derby e l’allenatore portoghese continua a essere l’allenatore della squadra. D’altra parte si era autoesonerato da solo e si era ripresentato a San Siro come un traghettatore vecchia scuola, pochi fronzoli e molta sostanza

Un tempo, nemmeno troppo lontano, si faceva così quando una squadra era in difficoltà: si cacciava l’allenatore e se ne ingaggiava uno senza fronzoli, uno di quelli con più senso pratico e buon senso che volontà di rivoluzionare il calcio, uno che schierava i giocatori con un 4-4-2 da sacchismo entry level. E se tutto non andava troppo male, se i giocatori erano buoni, quattro volte su cinque le squadre in difficoltà riuscivano a salvarsi.

Paulo Fonseca ha fatto in modo di autoesonerarsi e presentarsi sulla panchina del Milan nel derby contro l’Inter da traghettatore che cerca di risistemare la squadra. D’altra parte c’è solo un paese che rivaleggia con l’Italia in amore per il posto fisso: il Portogallo. E Fonseca due anni fa si era professato non portoghese ma “arciportoghese”. Ha cambiato tante squadre e su ogni panchina all’inizio ha pensato questa è per sempre. Va mica così nel calcio.


Questa è Ocio però, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sul campionato di calcio italiano, un piccolo breviario per evitare di prendere troppo sul serio la giornata di Serie A appena giocata.


Paulo Fonseca oggi doveva essere cacciato. Avevano dato tutti per buona questa ipotesi. Il Milan doveva perdere male contro l’Inter e la dirigenza rossonera esonerare l’allenatore. O così almeno scrivevano e pensavano più o meno grandi firme e più o meno grandi conoscitori di calcio. E invece il Milan ha vinto per 1-2 e Paulo Fonseca è ancora ancorato al suo posto, che spera si possa trasformare un giorno in fisso.

Paulo Fonseca (foto LaPresse)

Per il Milan talmente brutto da riempire San Siro di fischi e far strombazzare il de profundis via carta stampata radio e tv è la seconda vittoria in campionato, che con due pareggi e una sconfitta fanno otto punti gli stessi della tanto osannata e applaudita Inter.

Ocio però che il Milan non ha il centrocampo dell’Inter, né la difesa né tantomeno Lautaro Martínez – che sono settimane che sembra imbolsito, ma sono solo settimane storte – e il derby l’ha vinto di tigna e di ostinazione, quella che sanno mettere in campo al momento solo Matteo Gabbia, Christian Pulisic e Tammy Abraham, gli unici brutti, sporchi e cattivi in un andazzo rossonero fatto di fighettismo un po’ moscio.

Difficile dire se questa è la botta di vita che serviva al Milan per giungere a una minima consapevolezza di sé o quanto meno di comprendere di non essere una banda di mollaccioni con difficoltà a fare l’abc del calcio. Come è difficile dire se la Roma ha smesso di pareggiare e basterà Ivan Juric per rimetterla in carreggiata.

Ocio però che i giallorossi feriti nell’orgoglio dalla cacciata di Daniele De Rossi una mattina di un dì di settembre, hanno giocato praticamente come sempre solo che questa volta i loro attaccanti hanno segnato e quelli avversari no, anche grazie a Mile Svilar che è tornato a parare più di quello che avrebbe dovuto fare per contratto.

E così dopo cinque partite rientrano in una claudicante normalità, almeno per ora, le stagioni da buttare di Milan e Roma. Sono a tre e a cinque punti dalla vetta, e a due e a quattro punti dal Napoli. Quel Napoli che dopo i primi novanta minuti doveva vivere una stagione piena di fantasmi. E sono a uno e a tre punti dalla Juventus, quella bella e imbattibile delle prime due giornate.

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