Boccia e le altre (o gli altri): il duro mestiere dell’amante

Un ruolo complicato e ingrato fatto di clandestinità, bugie e famiglie allargate: la relazione extraconiugale ha vissuto ogni epoca, in un gioco di equilibri su cui la letteratura ha scritto di tutto

“Ora finché possiamo godiamoci il piacere, / subito come uccelli da preda amorosi divoriamo il nostro tempo, / piuttosto che languire nelle sue lente mascelle”.

(Andrew Marvell, “Alla sua amante ritrosa”)

C’è l’amante che redime da una vita triste in cui “tutte le grandi parole” sono state cancellate, come lamentava Lady Chatterley. C’è l’amante che all’opposto contribuisce a mantenere lo status quo mentre le grandi parole muoiono giorno dopo giorno “come se fossero fatte di stoffa scadente, che si stesse sfilacciando”: amore, gioia, felicità, casa, madre, padre, marito. E c’è l’amante come strumento di consolazione (per lui o lei) in questi anni Venti, che come quelli del secolo scorso descritti nel romanzo di D.H. Lawrence vedono offuscarsi anche “l’ultima delle grandi parole”: il sesso. Ridotto allora, come oggi dopo la buriana del #MeToo, a “un termine da cocktail applicato a un’eccitazione che ti divertiva un attimo e poi ti lasciava più depresso che mai”.



Se ai tempi s’adegua la famiglia, se vi s’adeguano le leggi e la morale, anche la figura dell’amante non rimane la stessa. Restano uguali e imprevedibili solo le debolezze umane espresse da certe “piccole parole” più resistenti delle grandi: ambizione, vanità e “la dea puttana del Successo”, avrebbe aggiunto Connie Chatterley. L’affaire di fine estate tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e l’ineffabile Maria Rosaria Boccia, “lover” confesso il primo ma non la seconda, è esplosa al sole dei selfie compulsivi, della sovraesposizione online di una liaison che un tempo, soprattutto quando coinvolgeva una figura pubblica, si sarebbe rifugiata all’ombra dei “si dice”, trascorrendo fra i sussurri senza stimolare titoli strillati con l’esibizione in prima fila, nei pubblici eventi, di una “lei” in cerca di vantaggi. Spessi tendaggi e un soffuso chiarore di abat-jour in un’anonima alcova (parola quasi estinta) avrebbero protetto la coppia da sguardi indiscreti.


Basti pensare che quasi mezzo secolo dopo, quando intervistano la cantante Rosanna Fratello, continuano a chiederle se fosse davvero l’amante di Aldo Moro e se lui le avesse scritto una lettera dal covo delle Brigate Rosse, malgrado lei abbia sempre precisato che fu solo sfiorata da una benevolente simpatia dello statista. “Honi soit qui mal y pense”. E anche se qualcuno lo pensa sarà sempre col beneficio del dubbio, magari più sfumato per altri leader politici di un passato in cui “tutti sapevano”, ma nessuno aveva visto. Non c’erano i social e gli smartphone che fotografano, registrano e condividono; non c’erano i trolley, che hanno mutato la sociologia del viaggio quanto o più delle compagnie aeree low cost, facilitando la mobilità anche per mordi e fuggi clandestini.



Gli amanti di una volta, oltre a prediligere le penombre, erano più statici. Donne sole lungamente attendevano il marito di un’altra, pazienti o impazienti: nel primo caso agognando una telefonata che tardava; nel secondo, chiamando loro sulla linea fissa di casa con il rischio che rispondesse la moglie o che captasse l’intesa. Chissà quanti si riconobbero, nel lontano 1975, nel celebre brano Buonasera dottore cantato da Claudia Mori, che non a caso campeggiò in testa alla hit parade per l’intero mese di agosto, quello delle mogli in vacanza e dei mariti in città. Un’amante dell’epoca chiedeva ancora: “Mi ami o no?” e dall’altro capo lui, con la legittima consorte nei paraggi, algido rispondeva: “Ci può giurare, dottore”. Lei lo pregava: “Stasera non dirmi no” e lui acconsentiva celando l’imbarazzo: “Va bene dottore. Se è proprio necessario, vengo”. Altro che chat di WhatsApp, i fedifraghi di una volta se le sognavano certe comodità, e i tradimenti tramite telefono bigrigio con disco a rotella non risultavano semplici. Per sostenere una relazione extraconiugale con le tecnologie del passato bisognava mantenere sangue freddo e prudenza, coniugare (ma il verbo è beffardo) passione romantica e nervi da torero finché il garbuglio di menzogne o veniva scoperto o si rivelava addirittura auspicabile, nel solco del protagonista di La coscienza di Zeno. L’amante Carla nel romanzo di Svevo non nuoce al rapporto tra il marito e la moglie Augusta, “anzi tutt’altro. Io le dicevo oramai non più soltanto le parole di affetto che avevo sempre avute per lei, ma anche quelle che nel mio animo andavano formandosi per l’altra. Non c’era mai stata una simile abbondanza di dolcezza in casa mia e Augusta ne pareva incantata”.



E’ sempre un delicato gioco di equilibri su cui la letteratura ha immaginato tanto senza inventare nulla di inverosimile. L’amante, se assume un ruolo di lungo corso, può farsi esigente quanto la (o il) consorte ufficiale. Nei Sillabari di Goffredo Parise alla voce “Sesso” c’è “una donna di cinquant’anni che si sentiva sola, perché l’amante non c’era mai e la casa era vuota”, sicché finisce per cedere alle ruvide voglie di un ragazzo conosciuto per la strada. Un senso di vendetta condisce il suo sensuale abbandono.



Nel Bel-Ami, romanzo-manuale per iene in carriera, Maupassant descrive il furore con cui la gioviale e oblativa Clotilde de Marelle (sposata) investe l’amante giornalista Georges Duroy quando ne scopre la tresca con la soubrettina Rachel. La scenata parigina al grido ossessivo di “porco!”, davanti alle Folies-Bergère e a una folla crudelmente divertita, non risulta incredibile né singolare alla maggioranza dei lettori attuali né lo fu per i contemporanei del libro, pubblicato nel 1885. Quando accade di peggio si finisce in cronaca nera tra efferatezze senza tempo. Valga su tutte la tragedia che si consumò, nove anni dopo l’uscita del Bel-Ami ma a Napoli, sull’uscio di casa del direttore del Mattino Edoardo Scarfoglio, dove la giovane cantante abbandonata Gabrielle Bessard depose sul pianerottolo la creatura della loro relazione e s’uccise con un colpo di pistola. La moglie del fedifrago, Matilde Serao, crebbe la piccola come figlia sua però restituì al marito i tradimenti, che restarono comunque ineguagliabili per numero. (Storia infernale a sé la fanno gli assassini per motivi passionali, che potrebbero occupare un cimitero e hanno riempito già pagine intere: la memoria collettiva ha impiegato molto tempo, semmai ci sia riuscita, a rimuovere l’eccidio compiuto a Milano dalla “belva” Rina Fort, che nel 1946 massacrò la moglie e i tre figlioletti del suo amante).



Per mitigare gli ardori senza inasprire gli umori, in quella società del dopoguerra a trazione maschilista, Giovanni Ansaldo sotto lo pseudonimo di Willy Farnese dettava agli uomini sposati una regola ferrea nel vademecum Il vero signore: riservarsi un “margine minimo” di “franchigie virili”, consistenti nel poter uscire con i propri amici almeno una volta a settimana e nel poter dormire fuori casa almeno una volta al mese. I pretesti? “Assistenza a parenti ammalati, viaggi di affari, perdita di chiavi del portone, tutto va bene, pur di assicurarvi un minimo di ‘vacanze matrimoniali’. Le brevi assenze (almeno queste: ché le lunghe sono meglio) giovano a mantenere la freschezza della convivenza coniugale; servono a dare alla ripresa il sapore della novità”.



Sotterfugi oggi scaduti, meri reperti di costume, perché i tradimenti si modulano sui cambiamenti e sull’evoluzione tecnologica. Se gli smartphone, però ben custoditi, hanno soppresso gli azzardi di Buonasera dottore, hanno pure moltiplicato i rischi della “vanità erotica”, una di quelle “piccole parole” intramontabili che fu secondo Ansaldo, e pare sia, la più diffusa vanitas tra gli italiani (da cui i beati inciampi nelle fototrappole di una biondona quando non è più lei la preda). E’ bene che l’amante nell’èra virtuale tenga a mente un monito: “Le conversazioni via e-mail o nelle chat dei vari social dalle quali emergano scambi affettuosi e corteggiamenti ricambiati sono ormai sufficienti, per giurisprudenza consolidata, ad attestare l’avvenuto tradimento anche laddove non si riesca a provare un rapporto sessuale”, spiega l’avvocato Alessandra Cagnazzo, specializzata in diritto di famiglia con una esperienza più che ventennale e curatrice di varie monografie. Si può insomma domandare la separazione con addebito anche se il coniuge non ha “riscaldato il letto” di un’altra o di un altro. Resta tuttavia, quello dell’amante, un ruolo complicato e spesso ingrato: “Non gli viene riconosciuto nulla, se non il grande stigma della clandestinità”, prosegue l’avvocato Cagnazzo: “Eppure in tante di queste storie l’amante ‘ha retto’ il matrimonio anche per anni, ne è stato figura portante, una valvola di salvezza capace di rendere sopportabile l’infelicità di certe unioni. Senza di lui o di lei probabilmente il matrimonio si sarebbe sfaldato molto prima. Ma a differenza dell’ex coniuge, al povero amante non è riconosciuto dalla legge alcun beneficio, neppure, lo dico con ironia, uno straccio di pensione di reversibilità”.


Gravida di incertezze, un’amante lo è talvolta anche dei figli frutto della relazione e ormai parificati a quelli nati nel matrimonio, perciò nessuno può escludere fratellastri o sorellastre di cui ignora l’esistenza. Né addirittura una famiglia parallela, che magari s’incontra per la prima volta al momento di piangere il comune estinto. Così accadde con il presidente francese François Mitterrand, il quale aveva riconosciuto solo dieci anni dopo la nascita Mazarine, concepita con la storica dell’arte Anne Pingeot, figlia di un industriale amico suo. Il loro rapporto durò dal 1962 fino alla morte del presidente nel 1996.



Non amante, ma prima moglie di Vittorio De Sica era l’attrice Giuditta Rissone che fu madre di Emilia, scomparsa nel 2021. I due figli avuti dalla successiva unione del regista con Maria Mercader appresero l’esistenza dell’altra famiglia solo quando Christian aveva diciotto anni e Manuel venti. Appurarono parlando con Emilia le vite parallele del papà, i suoi doppi regali, i duplici cenoni di Natale e Capodanno cui si sottoponeva per accontentare tutti. Come se non bastasse, aveva speso qua e là la sua sovrabbondanza amorosa: “Mio padre”, disse Christian, “ci ha lasciato in eredità anche la scoperta di numerosi fratelli e sorelle nascoste. La mia non era una famiglia, ma una cooperativa”. Le vicende biografiche tracimavano nel cinema: nel 1968 De Sica poté celebrare in Francia le seconde nozze con Maria e diresse Amanti con Marcello Mastroianni e Faye Dunaway (che dopo il colpo di fulmine sul set intrapresero una relazione).


Ci sono forse poche epigone, più anonime che conosciute, che replicano in piccolo gli illustri casi delle grandi favorite assurte agli apici delle corti come le amanti di Luigi XV, Madame Pompadour e Madame du Barry (che però ci rimise la testa). Tutt’altra prospettiva attende i comuni mortali: “La maggior parte degli uomini che tradiscono le mogli”, prosegue l’avvocato Cagnazzo, “non le lasciano facilmente per sposare l’amante o per rendere ufficiale la loro relazione. Sono anzi propensi a trovare comodissima questa loro organizzazione di vita tanto che nelle separazioni, intraprese per lo più dalle mogli tradite ripetutamente nel corso del matrimonio, gli uomini sono i più ostili e i meno collaborativi. Ingaggiano vere e proprie crociate per la riconquista della congiunta, dichiarando grande amore e promettendo cambiamenti epocali. Che non arriveranno”.



E’ quel che aveva chiaro Denis de Rougemont quando scrisse il saggio L’amore e l’Occidente che lo rese celebre, alla vigilia della Seconda guerra mondiale: se l’amante rappresenta la fuga dalla noia, perde la sua fascinazione quando ricalca la vita coniugale. L’amore passionale vuole “la principessa lontana”, insegue un mito, una illusione. Il Tristano contemporaneo ama Isotta finché lei è fuggevole, finché “è la donna da cui si è separati: possedendola la si perde”. Per alimentare l’estasi non bisognerà sposarla.



Chissà se cambiando le parole possono mutare le suggestioni, almeno fino a un certo punto. “Il vocabolo ‘amante’ esprime lo stesso significato che ha in italiano anche in varie altre lingue: una persona che in modo illegittimo o instabile è affiliata a un’altra e normalmente si tiene nascosta, che non è dichiaratamente esibibile. Che sta o tende a stare nell’ombra”, osserva Raffaele Simone, professore emerito di Linguistica generale e direttore di opere lessicografiche come il Grande Dizionario della lingua italiana Utet e il Dizionario dei sinonimi e dei contrari Treccani. Non s’usa più la parola concubina e adulterio è passato di moda dopo che la legge ha abolito il reato. “Dagli anni Settanta si registra la nuova accezione della parola ‘compagno’. Ricordo ancora lo stupore le prime volte che sentii dire a qualcuno: ‘Ti presento la mia compagna’. Non so come entrò nell’uso, posso azzardare l’ipotesi di una proiezione del gergo scolastico: il compagno o la compagna di banco”, aggiunge il professore.



Chissà se la cronaca di quest’estate risolleverà in letteratura le sorti degli intrighi amorosi, tanto raccontate in passato e così trascurate adesso. Simone, veterano degli Amici della domenica del Premio Strega, ne dubita: “Adesso l’orientamento della narrativa italiana risponde a quattro ‘D’: Donne che parlano di Donne Disperate per Donne”.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.