All’ex presidente Fernández il cinema argentino fa schifo. E i compatrioti applaudono

Dopo il presidente che apre il ministero della Diversità ma forse picchia la moglie, ecco l’incazzatura per tutti quei film e serie argentine, “de mierda” da lui stesso finanziati coi fondi statali a pioggia. Ognuno ha la sua Pompei

È il caso dell’estate argentina. L’ex presidente e diretto predecessore di Javier Milei, Alberto Fernández, già coi beni sotto sequestro per corruzione, è a processo per maltrattamenti e molestie alla moglie, Fabiola Yanez, e la cosa sembra andare per le lunghe. Per tutto agosto gli argentini hanno seguito il racconto sui media: foto di lei con lividi, smentite, indiscrezioni, pezzi di conversazioni in chat dove si parla di botte, con Milei che nell’imbarazzo generale smantellava nel frattempo il ministero delle Donne, del Genere e della Diversità (voluto da Fernández) dichiarando guerra alla prosa inclusivo-ministeriale. Spuntava anche una tresca dell’ex presidente con l’influencer Tamara Pettinato (un nome che avrebbe fatto impazzire Age & Scarpelli), quindi video fatti col telefono tra loro due, giocherellando alla Casa Rosada, mentre Tamara sedeva spaparanzata sulla poltrona presidenziale. Ognuno ha la sua Pompei. È invece di questi giorni l’ultimo tassello.

È il file audio di un litigio tra Fernández e Yanez che apre però anche nuovi scenari. Perché al culmine della lite Fernández si incazza per i film e le serie argentine che la moglie gli rifila la sera, “cuando quiero ver una película argentina no se puede ver… porque son todas una mierda?”. Se la prende con una tale “Sandra”, “la concha de tu madre”, amica di Fabiola Yanez, forse produttrice, autrice anche lei di “una mierda de serie”. Uno sbrocco cinematografico. Dopo il presidente che apre il ministero della Diversità ma forse picchia la moglie, ecco l’incazzatura per tutti quei film e serie argentine, “de mierda” da lui stesso finanziati coi fondi statali a pioggia. Perché un conto è buttarci soldi pubblici, altro doverseli pure vedere la sera (problema comune a molti ministri della Cultura).

Sulla stampa argentina parte intanto la caccia a “Sandra”. Potrebbe essere Sandra Rojas, produttrice di un paio di documentari, una commedia e un film “rarefatto e intenso”, forse con qualche corsia preferenziale nell’accesso ai finanziamento. Il fatto è che il cinema argentino ha i nostri stessi problemi. Un prodotto interno che fatica a reggere la concorrenza, e un prodotto da esportazione per sofisticati circuiti festivalieri dove ci si interroga sui lunghi silenzi latinoamericani, ma entrambi tenuti insieme dalla pressione fiscale del paese. Inutile dire che Milei ha tagliato i fondi e ora è raccontato come il distruttore del cinema, dell’arte, del teatro, dell’editoria. “Così muore il cinema argentino” scrivevano il Fatto e il Manifesto. Ma Fernández, con la sua “corazzata Potemkin” argentina, sembra dare ragione a Milei con un grande spot involontario contro il finanziamento pubblico a pioggia. E per la prima volta, da quando è iniziata la sua caduta, pare incassare qualche appoggio sui social, “finalmente qualcuno che dice la verità!”.

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