Più simpatia e meno scazzi (della giuria). Questo “X-Factor” funziona

Scordatevi gli scontri in favore di telecamera di Morgan e il caratterino di Fedez. In questa edizione Manuel Agnelli, Jake La Furia, Paola Iezzi e Achille Lauro guidano una giuria inedita e affiatata. Così il programma ritrova coerenza e credibilità. E punta a tornare a essere una fucina di talenti musicali nostrani

X-Factor” è un po’ l’araba fenice della televisione italiana d’intrattenimento. Viene periodicamente dichiarato in stato comatoso e destinato all’estinzione, poi si ripresenta ai nastri di partenza e capita, come in questa edizione 2024, che performi più che bene, sia sotto l’aspetto degli ascolti, che presentano un buon incremento – ma è presto per sbilanciarsi – sia dal punto di vista della godibilità e quindi anche della coerenza del progetto. Ed è proprio in questo solco che il discorso si fa piuttosto interessante: il cuore del problema, che sembra essere anche la sua soluzione, pare dunque stia nell’assemblaggio del pool di giudici del programma e, a seguire, nell’attitudine e nei comportamenti che i personaggi in questione sono invitati ad adottare, principalmente, si direbbe stavolta, assecondando la propria effettiva visione di un prodotto di questo genere. Qui sembra abbiano assunto un peso addirittura programmatico una serie di chiari presupposti, il primo dei quali è il prevalere di un’atmosfera di giocosa, ironica armonia a sovrintendere i lavori del tavolo della giuria, laddove nelle scorse edizioni correvano sangue e lacrime, con memorabili scontri al vetriolo davanti alle telecamere (e ancor di più nel backstage), scazzi e rinfacci, fino all’allontanamento di figure che pure hanno fatto la storia della trasmissione, come Morgan. Non c’era feeling e nemmeno empatia, con caratterini come Fedez – nella sua versione più abulica e distruttiva –, Ambra, Dargen e soci, e lo spettacolo ne risentiva, relegava in secondo piano la competizione e la rivelazione di talenti originali, per ridursi a una sitcom sulle antipatie tra variamente famosi.

Quest’anno l’ordine di scuderia è “tea & sympathy”, insomma sorrisi, lievi sfottò, strizzatine d’occhio, allusioni e giocosità e il meccanismo gira perché i giurati coinvolti sono giusti – dalla venerabile sapienza del veterano Manuel Agnelli, alla bonomia scaltra e street di Jake La Furia, all’inattesa competenza tra le pieghe dello showbiz di Paola Iezzi, fino al distacco suagné di un Achille Lauro in versione sobria e adulta. Quattro che la sanno lunga riguardo allo scenario musicale italiano per ciò che è oggi, coi suoi tranelli, i suoi pericoli e i segreti per evitarli e per imboccare la cruna dell’ago del successo, con tutto il cinismo e il disincanto del caso.

E, inaspettatamente, “X-Factor” diventa allora un progetto credibile, non soltanto un tentativo celibe di illudere dei dilettanti allo sbaraglio, ma qualcosa che davvero evoca un’estemporanea fabbrica del nostrano talento canterino. Tutto ciò anche perché l’altro assioma di partenza nella revisione del format è quello di selezionare, apertamente e con meno deviazioni possibili, dei concorrenti conformi all’intento del programma, ovvero l’individuare delle giovani, se possibile giovanissime, promesse musicali, pronte a debuttare nel mercato per come si configura al presente (suono + immagine + contenuto + rappresentatività), godendo del processo di affinamento che è lo svolgimento di “X-Factor” nello sviluppo delle puntate, con la relativa rivelazione degli artisti più intensi. Nei loro giudizi, nelle considerazioni che si scambiano, nel dispiegarsi del know how di cui ciascuno dei quattro giudici si dimostra in possesso, emerge qualcosa di credibile – ovviamente per quanto può essere credibile una trasmissione tv, con tutta la sua approssimazione e le sue concessioni allo spettacolo: guardare “X-Factor” stavolta suggerisce la sensazione di assistere all’allestimento e al perfezionamento di un gruppo di artisti di professione e proprio le procedure attraverso cui questo percorso transiterà costituiscono le premesse più interessanti di questa nuova edizione. Naturalmente tutto ancora è virtuale, perché il gioco deve ancora entrare nel vivo e non si può essere sicuri della sua effettiva tenuta. Ma lo spessore delle figure coinvolte e gli atteggiamenti palesati con chiarezza – in primo luogo la positività di Manuel e la schiettezza di Jake – fanno ben sperare. Da qui a supporre che dal laboratorio “X-Factor” escano davvero autentici portenti ce ne corre, ma alcune esibizioni viste nel corso delle due audizioni per ora trasmesse inducono a un moderato ottimismo. Infine una nota per Giorgia, che con notevole umiltà sta affrontando la conversione da grande interprete a entertainer, con risultati apprezzabili e con una grazia matura e dosata. L’assunto conclusivo è che “X-Factor” Italia ha ritrovato un senso nella descrizione e nella cronaca musicale del nostro paese di questi tempi. Non è poco, anche perché scrutando con benigna attenzione ciò che mostrano e raccontano i partecipanti al concorso che sfilano sul palco, si colgono dei frammenti del cambiamento e del nuovo design di una gioventù che per fortuna non somiglia a tanta ufficialità nazionale. E che invece trasuda speranza, passione e spesso un’ansia fragile, che ci fa pensare che nell’immediato sottosuolo ci sia ancora molta vita nel nostro paese.


Stefano Pistolini

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