Da Dante e Forese Donati alla scabbia verbale di Fedez e Tony Effe

I “dissing” esistevano anche ai tempi del Sommo poeta. Solo che quello in corso tra i due rapper tatuati fa venire voglia di ascoltare musica strumentale, senza una sola parola

C’era una volta il dissing Dante-Forese Donati. Il padre della lingua italiana si impegnò in singolar tenzone con un poeta concittadino e pure parente (cugino della moglie Gemma Donati). Ne uscirono sei sonetti zeppi di insulti terribili, Forese scrive che Dante è un poveraccio, un accattone, Dante risponde dicendo che la madre di Forese è una zoccola: “Bicci novel, figliuol di non so cui…”. Probabilmente è un gioco letterario ma non ne siamo certi, molti riferimenti sono andati perduti e i versi risultano di difficile interpretazione. Comunque è un nobilissimo antefatto. Poi c’è stato Francesco Guccini con la sua “Avvelenata”, invettiva potentissima contro i colleghi cantautori e contro i critici musicali, uno dei quali citato esplicitamente: “Un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate”.

Io l’ho pure conosciuto, nella sua Novara, Riccardo Bertoncelli che al tempo della canzone aveva 23 anni (com’era giovane l’Italia nei Settanta, oggi dove lo si trova un importante critico ventitreenne?). Mi ha raccontato che subito dopo lui e Guccini si incontrarono, si chiarirono, diventarono perfino amici. “Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!”. Invece che all’osteria i personaggi attuali tendono ad affrontare le questioni in tribunale… Poi c’è stato Alberto Fortis con “Milano e Vincenzo”, un attacco a Roma e al discografico Vincenzo Micocci: “Vincenzo, io ti ammazzerò / sei troppo stupido per vivere”. Parole da querela e invece, come ricorda il cantante, la risposta del minacciato fu: “Lo considero uno sfogo. E comunque è una bella canzone”. Altro che stupido, Vincenzo.

Arriviamo al presente ossia a Marco Castoldi e al suo perenne Morgan contro Tutti. Penso a “Rutti”, la sua avvelenata però senza nomi, e alla quasi omonima “Rutta” dove di nomi, in un turbine di note elettroniche, se ne percepiscono almeno due: Emma e Calcutta. Due episodi non troppo riusciti, sebbene l’ex Bluvertigo sia letterariamente e musicalmente fra i più attrezzati, e al momento senza risposta da parte dei cantanti tirati in ballo. Arrivando al presentissimo ecco questi due rapper tatuati che se le stanno dando di dannata ragione, manca soltanto che si prendano per i capelli. Dopo il dissing Fedez-Tony Effe c’è soltanto la lotta nel fango o forse no, non bisogna denigrare una zuffa che siccome praticata da ragazze in bikini si colloca esteticamente almeno un gradino sopra.

Il curriculum dei due è catastrofico: se Nicolò Rapisarda è colpevole della più brutta canzone dell’estate 2024 (“Sesso e samba”), Federico Lucia ha funestato acusticamente parecchie delle estati precedenti. Entrare nel merito? Devo proprio? Ho ascoltato “Chiara”, “L’infanzia difficile di un benestante”, l’anticipazione di “Allucinazione collettiva”, ho letto i testi, adesso so tutto. E voglio dimenticare tutto. Perché i versi (versi?) dei rancorosi che vogliono fare Kanye West ma sembrano Maria Rosaria Boccia temo siano contagiosi: scabbia verbale. Non tutto il male viene per nuocere. Dopo tante maldicenti cacofonie ho ritrovato il fascino della musica strumentale. Sto ascoltando “Ritual” di Jon Hopkins. Lui è un musicista vero, ha il collo pulito, non sporco di inchiostro, e nulla ci fa sapere delle sue eventuali donne, dei suoi eventuali figli. Fa musica vera: nemmeno una parola.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l’ultimo è “La ragazza immortale” (La nave di Teseo).

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